Articolo pubblicato per Linkiesta
L’impatto del riscaldamento globale in termini economici è più evidente sull’industria e sul turismo, ma si misura soprattutto in termini di costi sociali. Per questo gli economisti ambientali studiano sempre di più le conseguenze del fenomeno. Proponendo anche soluzioni in termini di green economy
L’assegnazione, alcuni mesi fa, del premio Nobel all’economista William Nordhaus ha certificato la rilevanza assunta dalle tematiche ambientali anche per gli economisti. Come sottolineato nella relazione della Royal Swedish Academy for Sciences, il lavoro dell’economista americano è stato determinante nella “comprensione di come l’economia e il clima del nostro pianeta dipendano l’una dall’altro”. I modelli di Nordhaus hanno permesso una rigorosa analisi dell’interazione tra attività economica e emissioni di CO2 e consentito di formulare le previsioni usate nei summit mondiali dedicati all’ambiente. L’ecologia è progressivamente diventata terreno di studio anche di altre discipline, oltre a quelle naturalistiche, acquisendo rilevanza e rigore scientifico. Non a caso negli ultimi 25 anni si è verificato un vero e proprio boom di pubblicazioni economico-ambientali, da livelli prossimi allo zero a metà degli anni ’90, con un picco nel 2013 e ora rientrate a un livello di normalità, come mostra la figura 1.
Tuttavia, è importante ricordare che l’attenzione alle problematiche ambientali non rappresenta una novità per il mondo economico: già Ricardo, Malthus e Smith agli inizi del XIX secolo si preoccuparono per l’impatto che la crescita economica e quella demografica avrebbero avuto sul sistema economico, specialmente dal punto di vista del consumo del terreno. Ciò nonostante in Italia il dibattito pubblico in materia è fermo a uno stadio preliminare: mentre altrove i partiti verdi sono elettoralmente forti, da noi si ha l’impressione che le tematiche ambientali siano relegate a culture di nicchia. Ora che – dopo anni di tentativi da parte di scienziati ambientali – si fa sempre più spazio la voce degli economisti, l’auspicio è che si possa raggiungere una maggiore assunzione di responsabilità dell’opinione pubblica.
I costi del cambiamento climatico
Uno dei compiti degli economisti ambientali è stimare i costi sociali del cambiamento climatico.Il sistema economico attuale, infatti, poggia le sue basi sulla produzione di beni tramite capitale e lavoro e dunque il mutamento del capitale naturale non può che incidere sulle modalità di produzione. Inoltre, anche la maggior parte dei settori industriali è influenzata dall’aumento delle temperature. Il settore turistico, per esempio, verrebbe sicuramente influenzato dal surriscaldamento globale, ma anche dall’aumento medio del livello del mare stimato di 10 cm in caso di aumento di temperature entro i 2 °C. Nel computo dei costi sociali del cambiamento climatico, dunque, gli economisti inseriscono anche valutazioni di questo genere.
Nonostante il costo sociale delle emissioni vari da paese in paese (vedi figura 2), in letteratura sono state fornite numerose stime sul costo sociale delle emissioni di anidride carbonica, di cui è possibile apprezzare una grande variabilità (da 10 a 1000 dollari per tonnellata di CO2 emessa). Tra le altre, l’analisi portata avanti da un team guidato dalla ricercatrice Katherine Ricke tiene conto della variabilità presente nelle stime del costo sociale delle emissioni, proponendo un’interessante valutazione del costo sociale in casistiche differenziate. Questo obiettivo viene raggiunto in due modi:
- modificando ripetutamente una serie di parametri fondamentali nell’analizzare diversi scenari, come il tasso di sconto o la crescita economica;
- osservando come ogni paese contribuisca al costo globale delle emissioni, calcolato come somma dei singoli valori nazionali.
La stima a cui ad oggi giungono molti ricercatori è di un costo di 418 dollari per tonnellata di CO2 emessa, in un intervallo di valori che può variare da 177 dollari a 805 dollari.
Il motivo del divario osservabile nei risultati va ricercato nella metodologia usata: i vari modelli di lungo periodo dipendono da una serie di parametri che vengono fissati dai ricercatori, generando una certa variabilità nelle stime. Per esempio, per calcolare il valore odierno di 1000 euro percepiti tra 10 anni bisognerà scontare questo valore per una determinata percentuale. In economia questo valore percentuale viene chiamato tasso di sconto, e nel caso ambientale rappresenta il grado di interesse che la società dà al benessere delle generazioni future, che può variare da stima a stima. Altri parametri influenti possono essere il tasso di crescita dell’economia o il livello di interesse che la società pone nei confronti dell’ambiente. La scelta di questi parametri è fondamentale nella stima dei costi e la variabilità osservabile nelle stime è dovuta in parte a ciò.
Cosa è la green economy
L’economista ambientale non si ferma alla quantificazione dei costi del sistema economico contemporaneo, che impatta negativamente sull’ambiente e sulla salute umana: il suo vero obiettivo risiede nel concepirne uno alternativo, capace sia di sostenere una crescita economica di lungo periodo, che di ovviare ai grandi effetti collaterali del capitalismo contemporaneo. È proprio per questo che nasce il concetto di green economy. Frutto dello sforzo congiunto di economisti, giuristi e scienziati ambientali, consiste in un modello di crescita economica sostenibile basato su un utilizzo più efficiente delle risorse e su una riduzione dei rischi ambientali, oltre che sull’inclusione e sull’equità sociale. La chiave risiede nella transizione dallo sfruttamento di risorse finite all’esclusivo utilizzo di di risorse rinnovabili, potenzialmente sfruttabili all’infinito. A livello di business ciò implica, fra le altre cose, investire sulle energie rinnovabili, adottare imballaggi biodegradabili o riutilizzabili e concepire prodotti e servizi intesi per essere usufruiti meglio e più a lungo. A livello teorico e giuridico, invece, innovazioni importanti in questo senso risiedono nella volontà di implementare sistemi di misurazione diretta del capitale naturale (come quantificare il valore economico dell’aria pulita, dell’impollinazione naturale o della prevenzione di dissesti idrogeologici) e delle esternalità negative generate dalle attività economiche, nonché di revisionare i bilanci delle aziende inserendo al loro interno una nuova tipologia di “passività ambientali”.
Dove siamo oggi
L’intervento statale – sia diretto che sotto forma di promozione della finanza sostenibile – è senza dubbio un ingrediente fondamentale per questa graduale trasformazione. Inoltre, puntare e investire a livello centralizzato sulla green economy comporta il vantaggio di stimolare lo sviluppo di tecnologie all’avanguardia e promuovere la creazione di nuovi posti di lavoro, i cosiddetti “green jobs”. Tuttavia il settore pubblico non è l’unico chiamato in causa: anche i privati fanno la loro parte. Basti pensare agli effetti positivi derivanti dal miglioramento della reputazione ambientale, dalla prevenzione di pratiche di “boicottaggio” da parte dei consumatori e dall’accesso a sgravi fiscali per le compagnie che investono in pratiche eco-sostenibili. Non sorprende quindi che i trend contemporanei – almeno all’interno dei paesi più sviluppati – appaiano promettenti. Gli investimenti globali annui in energie rinnovabili continuano a superare quelli in combustibili fossili in termini di capacità energetiche aggiunte, con più di 200 miliardi di dollari di “green bonds” emessi a fine 2017, le aziende scommettono sempre di più sull’ ”environmental friendly” e lo share di mercato automobilistico occupato da veicoli elettrici è in continua ascesa: la fine della seconda decade degli anni 2000 sembra cominciare a rispondere timidamente ai richiami di scienziati, attivisti, economisti ed esperti. La strada tuttavia è ancora molto lunga, e implementare politiche capaci sia di superare le resistenze al cambiamento che di sviluppare meccanismi di compensazione efficienti per i “perdenti” – almeno nel breve periodo – del passaggio a un’economia più verde, è fondamentale affinché questi trend continuino a intensificarsi e moltiplicarsi.