Articolo pubblicato su Lavoce.info
Gli indici di benessere sociale non vogliono sostituire gli indicatori economici tradizionali. Ma possono fornire strumenti utili per valutare le condizioni di un paese. Ecco perché anche l’Italia li ha inseriti nel quadro della programmazione economica.
Gli indici di Bes
Tra i vari allegati al Documento di economia e finanza ve ne è uno dedicato interamente agli indici di benessere equo e sostenibile, i Bes (qui alcune nostre slide che li spiegano). Il loro obiettivo è catturare in maniera statisticamente rigorosa vari aspetti del benessere e fornire all’opinione pubblica strumenti (da affiancare agli indicatori economici tradizionali) per valutare le condizioni del nostro paese. Tuttavia, nel dibattito pubblico i nuovi indicatori hanno ricevuto una accoglienza molto tiepida, come avevamo avuto già modo di sottolineare. Possono quindi sorgere dubbi riguardo la loro efficacia e la loro utilità, sia da un punto di vista politico che da quello scientifico. Non tutti gli economisti, infatti, sono d’accordo sul loro utilizzo. La questione in discussione è se gli indici di Bes apportino sufficienti informazioni aggiuntive oppure rischino di complicare la diagnosi della situazione economica, incorporando una eccessiva discrezionalità nella scelta delle aree del benessere da misurare e sviando l’attenzione dall’andamento degli indicatori tradizionali.
La correlazione con il Pil
Un esercizio utile può essere allora lo studio delle serie storiche (a partire dal 2005, laddove i dati sono disponibili) dei 12 indicatori di Bes utilizzati dal ministero dell’Economia, selezionati dal governo nel 2016 tra gli oltre 120 elaborati dall’Istat come i più rappresentativi del benessere degli italiani. Abbiamo calcolato la correlazione fra l’evoluzione temporale annua del tasso di variazione del Pil reale delle regioni italiane e quello degli indicatori Bes presi sempre a livello regionale.
La domanda cui cerchiamo di rispondere è se, a livello descrittivo, rispetto a ciò che possiamo capire guardando al Pil, gli indicatori di benessere ci forniscono informazioni ulteriori o differenti. La necessità di considerare dati regionali nasce dall’obiettivo di ampliare il numero delle osservazioni disponibili. La tabella 1 riassume i risultati.
Tabella 1 – Correlazione tra variazioni indicatori di Bes e variazioni Pil
Nota: la correlazione va da -1 a +1; -1 indica che la correlazione è perfettamente negativa (in questo caso se il Pil sale di un punto, l’indicatore di Bes scenderà di un punto), mentre +1 rappresenta una correlazione perfettamente positiva (se il Pil sale di un punto, l’indicatore di Bes sale di ugual misura). 0 significa che non c’è correlazione.
Fonte: rielaborazione su dati Istat
Osservando la tabella, due sono gli indicatori le cui variazioni risultano correlate con i movimenti del Pil: il reddito medio disponibile pro capite e il tasso di mancata partecipazione al lavoro. Intuitivamente non è difficile immaginare che al crescere della ricchezza prodotta dal paese cresca anche la ricchezza disponibile per ogni cittadino e diminuisca invece il tasso dei disoccupati e degli scoraggiati. Altri due indicatori presentano una correlazione, seppur molto debole: l’indice di criminalità predatoria (calcolato sulla base del numero furti in abitazione, borseggi e rapine) e quello di abusivismo edilizio. Le variazioni degli altri indicatori, invece, non sembrano aver avuto una relazione (lineare) con quelle del Pil reale. Se dunque si guarda solo alle variazioni del prodotto interno lordo, è difficile farsi un’idea di cosa stia succedendo contemporaneamente nelle altre componenti del benessere, e questo è uno dei motivi dietro l’introduzione degli indicatori Bes nel quadro della programmazione economica.
La loro funzione
Gli indici di Bes sono oggi ancora a uno stadio sperimentale. Le misure più tradizionali non vanno sostituite, né questo è l’obiettivo delle nuove misure di benessere, che invece dovrebbero essere lette come elementi aggiuntivi e complementari. È quello che, ad esempio, sta cercando di fare il primo ministro della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, che ha lanciato l’idea di un bilancio del benessere che espanda gli obiettivi di politica economica includendo indicatori del benessere sociale e non solo economico. Ed è quello che sta cercando di fare dal 2016 il governo italiano, con l’auspicio che gli indici di Bes siano davvero utili ad affrontare con maggiore consapevolezza l’operato della classe politica e lo stato di salute del paese, fornendo statistiche sintetiche e comparabili di anno in anno e – quando saranno implementate in tutti i paesi europei – tra gli stati membri dell’Ue, grazie all’inserimento ufficiale nel ciclo di programmazione economica e lo sforzo di sintesi effettuato con la scelta dei 12 indicatori sopra riportati. In conclusione, può essere d’aiuto un paragone: la febbre è un indicatore sintetico ed efficace dello stato di salute del paziente? Sì, e sarebbe sciocco non tenerne conto. È però un indicatore sufficiente per capire se il paziente è ammalato di morbillo o varicella? No, ma è proprio ciò che è necessario per capire quali cure somministrare.
D’altronde, Simon Kuznets, premio Nobel per l’economia nel 1971 e pioniere del moderno concetto di Pil, sosteneva “a stento è possibile dedurre il benessere di una nazione dalla misura del reddito nazionale”.