Articolo pubblicato su Lavoce.info
Nel 2017 sono andati all’estero 117 mila italiani e solo 40 mila vi hanno fatto ritorno. È una perdita di capitale umano e sociale. Potrebbe trasformarsi in un’opportunità. A patto di sviluppare collaborazioni tra chi parte, chi rimane e chi torna.
L’Italia che va e (spesso) non torna
Non è raro avere un parente o un amico che vive all’estero per studio o per lavoro. Il fenomeno emigratorio non è solo una percezione, i numeri parlano chiaro. Dall’Italia nel 2017 se ne sono andati in 117 mila, solo in parte compensati dai 40 mila che vi hanno fatto ritorno. Un fenomeno in cui rientra anche la cosiddetta emorragia di talenti, la fuga di cervelli.
Chi sono infatti gli italiani che scelgono di partire? Oggi il flusso migratorio ha caratteristiche differenti rispetto al passato. Spinti sia dall’internazionalizzazione delle carriere educative e lavorative, sia dalle minori opportunità occupazionali, a partire sono soprattutto i giovani – un emigrato su cinque ha meno di 26 anni (Istat, 2018) – e un numero crescente di laureati (figura 1). Se nel 2004 gli emigrati con titolo di studio universitario erano 1 su 10, nel 2017 rappresentavano il 30 per cento.
Figura 1 – Percentuale di emigranti laureati e diplomati su totale popolazione di riferimento nel 2004, anni 2004-2017.
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat.
Note: le linee tratteggiate indicano la percentuale di emigrati al netto di italiani ritornati con il medesimo titolo di studio durante l’anno. Le popolazioni di riferimento provengono da fonti statistiche ufficiali di Istat.
Sull’emigrazione dei laureati fa luce anche un recente report del think tank Tortuga in collaborazione con Algebris. Servendosi dei dati Istat (2011, 2015) sulle carriere lavorative dei laureati, è possibile analizzare chi si trova all’estero per lavoro a distanza di quattro anni dalla laurea. Questi dati aggiungono un importante pezzo al puzzle: ci dicono che a muoversi sono soprattutto i laureati provenienti da università del Nord (tra cui molti studenti del Sud), con laurea magistrale conseguita in campo scientifico-tecnologico o socioeconomico (figura 2).
Figura 2 -Laureati emigrati all’estero per area di studio, coorti di laurea 2008 e 2011
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat.
Perdita di capitale umano e sociale
Quando il saldo migratorio è in rosso, il paese di origine va incontro a un’ingente perdita di capitale umano formatosi all’interno del proprio sistema educativo. Corre così il rischio non solo di rimanere indietro su innovazione e imprenditorialità, ma anche di lasciare ad altri paesi i frutti dei propri investimenti in istruzione: col tempo, ciò favorisce una riduzione delle risorse che vi destina. Inoltre, chi emigra verso l’estero tende ad avere una mentalità più aperta, anche grazie a una maggiore istruzione alla base. Non si perde quindi solo capitale umano in senso economico, ma anche in senso sociale e politico.
A conferma di ciò l’analisi di Tortuga e Algebris mostra, con dati tratti dall’European social survey (figura 3), che i giovani europei recentemente emigrati in un altro paese dell’Ue hanno più fiducia nelle istituzioni europee e sono più aperti all’immigrazione rispetto ai coetanei che non si spostano.
Figura 3 – Posizionamento su scale valoriali (1-10) per giovani under-30 all’estero e nel paese di origine, Europa mediterranea.
Fonte: European social survey (2008-2016).
Note: la figura riporta i valori medi per scale con valori da 1 a 10, dove 10 indica una posizione completamente a favore. Paesi di origine inclusi: Cipro, Grecia, Italia, Portogallo, Spagna.
L’emigrazione di giovani e laureati potrebbe però anche rivelarsi una risorsa per il paese di origine. Mentre per i paesi a basso reddito sono le rimesse a giocare un ruolo chiave, nel caso di nazioni come l’Italia l’emigrazione potrebbe generare una circolazione di competenze, conoscenze e valori che stimolino l’innovazione e il cambiamento sociale e politico nei territori di provenienza. A patto che ci sia un bilanciamento tra partenze e rientri e che si sviluppino – o si mantengano – sinergie tra chi parte, chi rimane e chi torna.
Più circolazione di cervelli, non solo italiani
L’emigrazione di persone altamente istruite non si può fermare, sia perché permane una differenza di opportunità tra l’Italia e l’estero in diversi settori, sia perché il sistema universitario italiano promuove costantemente la mobilità internazionale come valore aggiunto. Per questo motivo, l’approccio degli ultimi governi si è concentrato sulla promozione di incentivi per il rientro dei cervelli attraverso agevolazioni fiscali (compreso il governo Conte con il decreto crescita). Ma si può, e si dovrebbe, fare di più. Si può incrementare la mobilità circolare di laureati italiani, favorendo le collaborazioni dall’estero su progetti italiani e introducendo finanziamenti aggiuntivi per esperienze fuori confine condizionati allo svolgimento di un periodo di lavoro in Italia. Di esempio sono il programma “Torno subito” della Regione Lazio e “Brain back” in Umbria. Si dovrebbe favorire l’arrivo di talenti stranieri (gli immigrati laureati sono meno dell’1 per cento del totale) reclutandoli sul mercato internazionale e migliorandone l’integrazione, a partire da un sistema più snello e chiaro per il riconoscimento dei titoli di studio e delle qualifiche professionali anche per chi proviene da paesi extra-europei.
L’autore dell’articolo è Jacopo Bassetto, membro del think tank Tortuga.