Articolo pubblicato su Business Insider
Tra le linee programmatiche pensate dalla recente maggioranza M5S-Pd-LeU, poca attenzione è stata rivolta al punto 5 che fa riferimento all’importanza dell’investimento sulle nuove generazioni, specialmente per i giovani provenienti da famiglie a basso reddito.
Guardando ai dati, la necessità di maggiori investimenti in questa fascia demografica trova subito conferma: nel 2018, in seguito all’erogazione dei trasferimenti sociali, gli italiani con meno di 18 e di 24 anni sono stati tra gli individui con la maggiore incidenza di povertà relativa –definita come la percezione di un reddito inferiore al 50% mediano – in Europa (18,4% e 18,1% rispettivamente).
Uno sguardo oltr’Alpe
La Francia rappresenta un esempio virtuoso di gestione del meccanismo sociale. Nel 2017 infatti, in seguito ai trasferimenti, meno di un minorenne su 10 era in povertà relativa e l’incidenza della stessa per i giovani tra i 18 e i 24 anni era del solo 12,5%. Un ottimo risultato considerando che per entrambe le fasce d’età la situazione pre-trasferimenti sociali era di diversi punti percentuali più critica di quella dei coetanei italiani. In Francia le risorse per le politiche di assistenza sociale sono più consistenti e distribuite più eterogeneamente, con la conseguenza che giovani e studenti sono tra i principali beneficiari del welfare statale e non una categoria residuale – come accade in Italia.
Tra le svariate misure in vigore, l’Aide Personalisée au Logement (APL) è una delle più celebri. Si tratta di un trasferimento monetario ad opera della CAF (Casse d’Allocations Familiales) che facilita i beneficiari nell’accesso ad un’abitazione o nel suo mantenimento.
Introdotto nel ‘77, l’APL è stato riformato ad inizio ‘90. L’effetto principale di tale riforma, grazie all’inclusione di un maggiore numero di beneficiari, è stato di promuovere l’abbandono da parte dei giovani del nucleo familiare. Infatti, i nuclei abitativi composti da studenti sono raddoppiati, e nel ‘94 essi rappresentavano il 58% dei nuovi beneficiari. Quasi 30 anni dopo, l’APL continua ad essere una fonte sostanziale di assistenza ai più poveri: combinandolo infatti con l’ALF e l’ALS – due misure simili che lo completano – nel 2015 sono stati oltre 6 mln e mezzo i beneficiari diretti e quasi 14 mln quelli indiretti. Il 30% di essi aveva meno di 30 anni, e il 14% era rappresentato da studenti.
Un meccanismo di questo tipo potrebbe rappresentare una soluzione a una delle emergenze sociali di maggiore entità per i giovani italiani: la povertà abitativa. Come attentamente sintetizzato dal rapporto Caritas “Futuro Anteriore” su povertà giovanili ed esclusione sociale in Italia, nel 2017, l’82% degli individui nella fascia tra i 18 e i 29 anni aveva forti difficoltà nel pagamento puntuale dell’affitto, il 20,6% impegnava più di due terzi delle proprie entrate economiche per le spese abitative e più del 33% non ha avuto diritto a misure di assistenza economiche nel settore abitativo pur avendone fatto richiesta.
Non è tutto oro ciò che luccica
Tuttavia, non pensiamo che uno strumento identico all’APL sia da introdurre in Italia. Non sembra infatti che sia da attribuire a questo meccanismo la miglior performance del sistema francese. La ricerca empirica ha evidenziato che l’APL non sembra concorrere alla redistribuzione del reddito nella maniera in cui ci si aspetterebbe: ad ogni euro addizionale concesso ai suoi beneficiari corrisponderebbe un incremento di 78 centesimi nell’affitto pagato dai nuovi richiedenti. Questo significa che larga parte del sussidio viene catturata dai proprietari immobiliari che applicano rendite più alte, riducendone dunque l’efficacia e l’effetto di contrasto alla povertà. Tale effetto potrebbe verificarsi anche nel caso in cui un meccanismo analogo venisse introdotto in Italia.
Vi sono comunque degli elementi da cui l’Italia può prendere esempio. Anzitutto, la consistenza dei trasferimenti. La spesa sociale francese è maggiore di quella italiana: negli ultimi 15 anni la Francia ha dedicato in media quasi 3.000 € di risorse in più all’anno ad ogni abitante rispetto all’Italia.
Inoltre, il sistema italiano dovrebbe rendere la distribuzione delle risorse più eterogenea: mentre in Francia nel 2017 sono stati destinati 55 mld di euro a famiglie e bambini e 18,5 mld all’aiuto abitativo, in Italia il sostegno alle famiglie non superava i 30 mld e quello all’abitazione rimaneva sotto i 500 mln.
Un ulteriore spunto di riflessione ci viene fornito da Baldini, Mancini e Vecchi, i quali sostengono che un trasferimento monetario può rivelarsi inefficace nel ridurre la povertà quando la spesa pro-capite è limitata e/o quando vi è una bassa concentrazione dei benefici tra i più poveri. Con riferimento al primo fattore, i risultati empirici mostrano che in Italia l’incidenza dei trasferimenti è particolarmente bassa, sia sui redditi dell’intera popolazione che delle famiglie con figli a carico: un bambino italiano vive in famiglie in cui il 9% del reddito proviene da trasferimenti sociali, mentre la famiglia di un coetaneo francese riceve 15,5% del proprio reddito dallo Stato.
Se si guarda solo alle famiglie povere, la differenza è ancora più clamorosa: un bambino povero francese deve più della metà del reddito del proprio nucleo familiare ai trasferimenti sociali, un bambino povero italiano solo un quinto. Tale differenza però non può essere ricondotta semplicemente all’ammontare di risorse: gli stessi autori dimostrano come il sistema italiano sia sistematicamente meno in grado di raggiungere i soggetti più poveri nella distribuzione del reddito.
Figura 1 – % di bambini raggiunti dai trasferimenti sociali per decili di reddito pre-trasferimenti. Fonte: Baldini et al. (2018)
Conclusione: le nostre proposte
Risulta evidente la necessità per l’Italia di un approccio più omnicomprensivo al problema della povertà abitativa. Occorrerebbe in primis aumentare le risorse destinate, o almeno garantire una distribuzione più eterogenea delle minori disponibilità: in percentuale del PIL dedichiamo sistematicamente meno fondi a tutte le funzioni del sistema di welfare – fatta eccezione per la protezione degli anziani e dei sopravvissuti – rispetto alla Francia. Tale caratteristica si lega anche all’incapacità dei trasferimenti sociali di raggiungere universalmente i decili più poveri della popolazione, come dimostrato da Baldini et al. Intervenire in questo senso permetterebbe di rendere più efficiente il sistema di protezione sociale senza necessariamente aumentarne i costi.
Una soluzione più semplice e facilmente implementabile consiste nell’allocare una frazione maggiore di risorse alla gestione del meccanismo d’implementazione. Esiste infatti una chiara correlazione positiva tra la quota di risorse spese in fase amministrativa sul totale della spesa sociale e la riduzione del rischio di povertà. Infine, un ulteriore aiuto può arrivare dai privati.
In questo senso, la speranza è che il progetto “Per merito” lanciato da Intesa Sanpaolo, un prestito d’onore per studenti che ha come unico requisito l’impegno dedicato allo studio, possa essere d’esempio. Progetti di questo tipo non appesantiscono le casse dello Stato e allargano lo spettro delle aree nelle quali la povertà viene combattuta, risultando in un approccio più omnicomprensivo. Inoltre, sono caratterizzati da un’amministrazione manageriale di alto livello.