Articolo pubblicato su Business Insider

Lo slancio riformista del governo Conte in merito alle politiche familiari si è estinto ancora prima di iniziare, rinviando tutto all’anno prossimo. Il Family Act versione giallorossa si fonda su un concetto semplice: un figlio, un assegno. Un importo di 160 euro al mese per ogni under 18 e poi 80 euro fino al compimento dei 26 se ancora a carico (cioè quando il reddito del figlio non supera i 4.000 euro fino ai 24 anni e poco meno di 3.000 fino ai 26). La misura dovrebbe entrare in vigore nel 2021, ma è comunque interessante analizzarne la struttura e le potenziali conseguenze.

Un sistema (potenzialmente) più semplice

Qual è la situazione attuale? Oggi il sistema prevede tre pilastri centrali: l’assegno ai nuclei familiari, l’assegno alle famiglie numerose e il bonus bebè.

  • Il primo supporta i lavoratori dipendenti, i disoccupati, e pensionati – ex lavoratori dipendenti – con una somma che dipende dalla tipologia, dal numero dei componenti e dal reddito complessivo del nucleo.
  • Il secondo destina circa 140 euro al mese alle famiglie con almeno tre figli a carico, arrivando a 500 per nuclei con quattro minori a carico e soggetti a un ISEE familiare di 8500 euro.
  • Infine, il bonus bebé: 96 euro al mese per un massimo di 12 mesi se l’ISEE minorenni non supera i 25 mila euro e 192 se il medesimo indicatore non supera i 7 mila euro.
  • A ciò si aggiungono le detrazioni per le spese sostenute per figli a carico di lavoratori dipendenti.

Insomma, strumenti eterogenei con soglie molto dettagliate.

La volontà del nuovo esecutivo è quella di semplificare le misure attuali – la cui efficacia è stata più volte messa in discussione per via della loro frammentarietà  –  con un unico trasferimento il più diretto e universale possibileIn primis, l’unico requisito è un tetto di reddito annuale di 100 mila euro lordi annui, i quali vanno però riferiti al componente del nucleo con reddito individuale più alto, e non a quello generale. Al di sotto di tale soglia il trasferimento dovrebbe essere uguale per tutti. Ma anche la nuova proposta pare confusa: non ci sono ancora indicazioni su un’eventuale proporzionalità tra l’ammontare del trasferimento e la numerosità del nucleo.

Ma quanto dovrebbe costarci? Il nostro paese, secondo i dati Ocse relativi al 2015, spendeva poco meno del 2% del PIL in family benefitsun punto percentuale in meno della Francia e un punto e mezzo in meno del Regno UnitoL’intervento del governo non modifica in modo significativo il livello totale della spesa, dal momento che buona parte delle risorse verrebbero trasferite da spese già considerate come family benefits. Inizialmente il governo prevedeva anche di dirottare le risorse per gli 80 euro – il cosiddetto “bonus Renzi” – all’assegno per figli. L’ipotesi è stata tuttavia smentita in un secondo momento e sarà pertanto necessario aspettare l’anno prossimo per avere un’idea più chiara.

Un problema di struttura, non solo di mezzi

Il Family Act, oltre a semplificare il sistema di sussidi, vorrebbe stimolare la fragile domanda di consumi interni e tentare di invertire il trend demografico del nostro Paese. Il governo, a tal proposito, pensa di elevare il trasferimento per asilo nido e babysitter fino a 400 euro per ogni figlio sotto i 3 anni (la cosiddetta Carta Bambino), un aumento rilevante visto che ad oggi il contributo è di circa 160 euro.

Tuttavia, gli obiettivi sono ambiziosi e difficili da risolvere per semplice via fiscale, visto che gli ostacoli strutturali rimangono.

La fertilità degli under 30 in Italia è tra i valori più bassi registrati nel nostro continente. Ciò può essere in parte spiegato dall’alta precarietà, specie tra i più giovani che lavorano con contratti atipici o partite IVA. Non solo non hanno accesso ai congedi genitoriali, ma non possono neppure permettersi, dal punto di vista professionale, di stare fuori dal mercato del lavoro troppo a lungo. L’offerta di servizi pubblici per la prima infanzia resta limitatasoprattutto nelle regioni del Sud Italia. I dati Istat più recenti segnalano che nel nostro paese soltanto il 25% dei bambini frequenta il nido, contro il 30% europeo e il 50% in alcuni paesi come la Francia. Il problema, evidenziato anche  da Luppi e Rosina, va al di là della questione economica, essendo dovuto anche alla scarsa presenza degli asili (pubblici e privati), oltre che a orari che non combaciano con quelli del lavoro dei genitori.

Infine, un punto centrale – ma poco affrontato dal governo attuale – riguarda la difficoltà nel conciliare responsabilità familiari e lavorative. Un fattore che ha una ricaduta soprattutto sulle donne. Nella fascia 25-49 anni il tasso di occupazione femminile è superiore all’80 per cento per le donne single, ma scende di 25 punti percentuali (su livelli tra i più bassi in Europa) per le madri. Allora, un quesito: cosa c’entra l’occupazione femminile con i tassi di fecondità? Le coppie in cui entrambi i partner hanno un’occupazione stabile tendono ad avere più figli rispetto a quelle in cui uno dei due ha un’occupazione instabile.

Politiche che aiutino le donne a mantenere il proprio lavoro dopo la nascita di un figlio dovrebbero essere una parte fondamentale della discussione, invece restano puntualmente escluse.

Il sospetto è che ancora una volta si stia affrontando il problema della natalità in Italia avendo in mente un modello di famiglia conservatore, che ormai non rispecchia più la situazione delle famiglie italiane nel 2019.

La classe politica italiana fa ancora fatica a comprendere che la questione di genere è importante non solo in sé, ma come chiave di volta affinché l’Italia si riprenda dall’inverno demografico attuale.

Infine, i sussidi monetari proposti dal governo, se da una parte hanno il pregio di semplificare le misure attuali, dall’altra non avranno un effetto immediato. In Italia il calo della fecondità è un fenomeno di lungo periodo, cominciato già negli anni ‘70. Questo significa che ad oggi il numero di donne in età fertile è limitato anche a causa della bassa fecondità delle generazioni precedenti. Nel breve periodo la politica proposta dal governo giallorosso non potrà avere un impatto forte in termini di numero assoluto di nascite. Quindi, è ancor più necessario integrare la proposta del governo Conte con misure che promuovano la conciliazione tra vita lavorativa e famiglia, che possono avere un impatto più immediato.

La chiave è la stabilità

E’ positivo che si ritorni a parlare del riordino dei sussidi monetari per le famiglie, ma bisogna ricordare che avranno un effetto solo nel lungo periodo e a patto che restino stabili nel tempo. Le famiglie a basso reddito cambieranno le loro aspettative riguardo alla sostenibilità economica di avere un figlio solo se avranno la certezza che gli aiuti a disposizione saranno continui.  Il rischio è che questa proposta resti uno slogan, una misura una tantum che potrebbe poi essere revocata con la prossima legge di bilancio, risultando di fatto inefficace rispetto agli obiettivi dichiarati.

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