Articolo pubblicato su Business Insider
Con il dibattito che ha generato nelle ultime settimane, la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes, o Fondo salva-stati) va tristemente ad aggiungersi alla lista delle tematiche su cui si è fatta molta confusione e altrettanta disinformazione.
Le posizioni di chi afferma che la riforma “mette a rischio i risparmi degli italiani” e di chi invece sostiene che rafforzi un’importante forma di assicurazione sono chiaramente inconciliabili. Cosa contiene l’accordo in questione e quali sono le implicazioni? Il contenuto della bozza è il frutto di un negoziato iniziato a dicembre dello scorso anno e ormai giunto alle battute finali: l’approvazione definitiva è prevista entro la fine dell’anno.
La riforma: rischio destabilizzazione?
La principale preoccupazione è che, con le nuove condizioni, in caso di turbolenza sul mercato del debito il nostro paese potrebbe non ricevere supporto finanziario dal Mes, se non accettando la ristrutturazione del proprio debito. Questo prevederebbe una modifica delle condizioni originarie dei titoli emessi, per esempio attraverso un taglio del valore delle obbligazioni o degli interessi, o un allungamento delle scadenze di rimborso. Come fatto notare da numerosi esperti, una ristrutturazione del nostro debito che sia efficace potrebbe aggirarsi nell’ordine di almeno 50 punti di Pil: un’enorme tassa per i cittadini, detentori di quasi il 70% dello stock del debito, con effetti devastanti sulla domanda interna e sul sistema bancario.
Tuttavia – contrariamente a quanto affermato da alcuni – la riforma non prevede la ristrutturazione automatica del debito per i paesi che si rivolgono al Mes per assistenza. La ristrutturazione dovrà avvenire in forma preventiva, ovvero prima dell’erogazione degli aiuti, solo nel caso in cui uno stato richieda l’accesso alle linee di credito precauzionali previste dal fondo, ma il suo debito non sia valutato come sostenibile.
Allo stesso tempo, la riforma inasprisce le condizioni di accesso a una delle due linee di credito, la Precautionary conditioned credit line, o Pccl, che sarà limitata a quegli stati membri che mostrano condizioni economiche e finanziarie fondamentalmente solide e il cui debito pubblico è definito sostenibile secondo parametri modulati sulla base di quelli del Fiscal compact. L’idea è dunque quella di facilitare l’accesso alla Pccl per questi paesi nel momento in cui siano colpiti da shock al di fuori del proprio controllo, come una crisi di liquidità. Nel caso in cui un paese non soddisfi le condizioni per accedervi, ma dimostri di avere comunque condizioni economiche e finanziarie stabili, potrà però avere accesso all’Enhanced conditions credit line, o Eccl, per la quale rimane necessaria la firma di un Memorandum di intesa con cui il paese debitore si impegna ad adottare misure correttive.
Anche nel caso in cui l’Italia non richiedesse l’aiuto del Mes la riforma prevede però alcuni cambiamenti delle caratteristiche dei titoli di stato, che renderebbero più facile la ristrutturazione del debito.
La riforma introduce infatti le Clausole ad azione collettiva (Cac) cosiddette “single-limb” che richiedono una maggioranza a livello aggregato, cioè sull’insieme delle emissioni, per modificare i termini e le condizioni dei titoli. In questo modo sarà più difficile per un singolo investitore bloccare una ristrutturazione.
Quali sono i possibili rischi? In una situazione di crisi, la possibilità che queste nuove clausole possano essere attivate potrebbe sollevare il panico tra gli investitori, portando a un rialzo ulteriore del premio di rischio e quindi aumentando la probabilità che l’Italia debba chiedere aiuto, e dunque la probabilità di una ristrutturazione secondo il meccanismo delle previsioni auto-avveranti.
Bisogna poi tenere conto che la riforma inasprisce proprio le condizioni per accedere a quella linea di credito, la Pccl, concepita al fine di scongiurare tali situazioni. È da chiedersi dunque se il meccanismo così riformato possa davvero adempiere al suo mandato.
Un ulteriore motivo di perplessità è dato dai maggiori poteri di controllo e di decisione che la riforma attribuirebbe al Mes. Il principale timore è che un Mes più forte possa risultare più rigido nelle proprie valutazioni tecniche di quanto non sarebbe la Commissione, che, per quanto ne dica la retorica sovranista, è un organo politico che rappresenta gli interessi dell’intera Unione Europea. A parziale rassicurazione di ciò, la riforma prevede l’inserimento del fondo salva stati nel sistema di controllo reciproco tra istituzioni europee, al fine di assicurare il suo operato nell’interesse dell’Unione.
Verso una maggiore integrazione dell’eurozona
Malgrado le criticità evidenziate, la narrazione secondo cui questa riforma sia esclusivamente peggiorativa per l’Italia ignora alcuni aspetti fondamentali. Innanzitutto, la riforma prevede che il Mes assuma il ruolo di backstop al Fondo di risoluzione unico (Srf). Questo fondo disporrà dunque di una linea di sicurezza in caso esaurisca le sue risorse: è una importante forma, seppur limitata, di condivisione dei rischi tra i membri della zona euro.
Inoltre, risulta difficile credere che i paesi dell’Eurozona vogliano spingere l’Italia a ristrutturare il proprio debito. Chiunque è consapevole del rischio di un effetto contagio in caso di crisi nella terza economia della zona euro.
La riforma può dunque essere concepita come un richiamo, l’ennesimo, a una maggiore responsabilità da parte della nostra classe dirigente, affinché promuova politiche per la crescita e il risanamento dei conti pubblici. Dimostrare che questo è possibile è fondamentale, se davvero vogliamo una maggiore condivisione dei rischi all’interno dell’eurozona. Senza comportamenti responsabili e condivisi, il rischio di azzardo morale rappresenta comprensibilmente un ostacolo a una maggiore integrazione per alcuni stati membri, che temono di dover pagare il conto dell’irresponsabilità di paesi come l’Italia.
Insomma, il dibattito sulla riforma ha sottolineato ancora una volta la fragilità delle finanze pubbliche italiane e, soprattutto, il fatto che in tutti questi anni non sia stato fatto quasi nulla di significativo per risolvere questa situazione. Un giudizio oggettivo della riforma non può ignorare il fatto che questo comporti dei potenziali rischi per l’Italia, ma allo stesso tempo deve riconoscere che tanto l’origine di tali rischi quanto la possibilità di mitigarli, adottando misure che rendano il nostro debito più sostenibile, sono in capo al nostro paese e alla nostra classe politica.
Inoltre, un serio sforzo per ridurre il peso del nostro debito favorirebbe nuovi accordi di condivisione dei rischi all’interno dell’eurozona, e la riforma stessa si propone di limitare il pericolo di azzardo morale che al momento trattiene diversi stati membri dal promuovere una maggiore integrazione europea.
La riforma è poi il frutto di un negoziato e, come in tutti i compromessi, non è possibile pensare di ricevere senza dare. L’introduzione del backstop all’Srf rappresenta, per esempio, un’importante conquista per l’Italia, e il Mes stesso è uno strumento di emergenza fondamentale senza il quale la probabilità di una ristrutturazione del debito per l’Italia si alzerebbe notevolmente.
In questo contesto, il rifiuto di una ratifica delle modifiche proposte, porterebbe l’Italia a essere isolata in Europa e ulteriormente esposta a rischi di crisi. Infine, il giudizio sulla singola riforma del Mes non può prescindere dalla valutazione complessiva delle modifiche alla governance europea che vedranno la luce nel prossimo futuro, di cui questa riforma è solo un tassello.
È bene quindi adottare una logica di pacchetto, di cui dovrebbero far parte ad esempio la garanzia unica sui depositi bancari, e su cui l’Italia dovrebbe impegnare le sue energie.
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