La Vedetta
Il 20 e 21 febbraio il Consiglio Europeo si è riunito per discutere del budget dell’Unione per il periodo 2021-2027. Il summit si è risolto in un nulla di fatto. Complici le crescenti sfide globali che richiedono una sempre maggiore iniezione di fondi e l’imminente Brexit, il Consiglio non è riuscito a trovare un’intesa per la spesa dei prossimi anni.
Alla base delle discussioni vi era la proposta del Presidente del Consiglio Europeo di fissare il contributo di ogni stato nel prossimo settennio all’1,074% del reddito nazionale lordo (Rnl). La notizia non è però stata bene accolta dei cosiddetti paesi “frugali” – Danimarca, Austria, Svezia, Olanda – che sono disposti a contribuire solo fino all’1% del Rnl.
Eppure i benefici derivanti dalla partecipazione al mercato unico europeo sono incredibilmente superiori al contributo al bilancio dell’unione. In tal senso non sembrano esistere dei “creditori netti”. Questi Stati, così come la Germania, hanno inoltre negli anni goduto di alcuni rebates, ossia degli sconti che avrebbero permesso loro di ridurre la quota di contribuzione. Il mantenimento di questi sconti, negli anni fortemente criticato anche dalla Corte dei Conti Europea, comporterebbe però il perpetrarsi di un meccanismo che riduce la trasparenza del sistema di finanziamento del budget europeo e l’assenza di oggettività nello stabilire quali paesi si qualificano per un rimborso della quota versata. Il quadro già abbastanza critico è inoltre peggiorato dalla Brexit che lascia un buco di bilancio annuale di circa 10 miliardi (60-75 miliardi sui sette anni di bilancio comunitario).
Ma lo scontro tra i membri del Consiglio interessa anche la destinazione dei fondi. Maggiori risorse dovrebbero essere destinate alle attuali sfide globali, come la migrazione e il cambiamento climatico, come affermato dal primo Ministro olandese. Non tutti gli Stati sono però disposti a sottrarre fondi da alcuni settori da cui beneficiano maggiormente. Ad oggi, la Polonia, il maggiore beneficiario del budget europeo, insiste nell’investire nei cosiddetti Cohesion Plans, sussidi rivolti allo sviluppo territoriale di alcune aree, mentre il Presidente francese Macron ha dichiarato di non essere disposto a rinunciare alla Common Agricultural Policy. Nel periodo 2014-2020, circa tre quarti del bilancio dell’Unione è stato impiegato in sussidi per programmi di aiuto per regioni specifiche e all’agricoltura. Quest’ultima rientra nella macro-area “Crescita sostenibile: risorse naturali”, di cui solo una minima parte è destinata a combattere il cambiamento climatico.