Una raccolta di analisi, dati, grafici e altri spiegoni che potrebbero esservi sfuggiti

Durante queste lunghe giornate passate a casa per contenere il contagio del Coronavirus (SARS-CoV-2) ognuno di noi si ritrova con un bel po’ di tempo libero a disposizione.

Per contribuire a sconfiggere la tediosità di questi lunghi giorni, abbiamo raccolto qui gli ultimi 10 articoli scritti da Tortuga, che magari vi siete persi o che vi eravate messi da parte finendo per non leggere più.


1) Pochi finanziamenti, scarsa efficienza: ecco lo stato della ricerca medica in Italia. Mentre i ‘cervelli’ scappano

La notizia riguardante il primato dell’isolamento del Coronavirus da parte di 3 ricercatrici dello Spallanzani di Roma è stata oggetto di vanto su molte testate nazionali. Almeno fino a quando non è stata correttamente rettificata. Anche il Presidente Mattarella nel 2018 aveva ricordato che il Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) rappresenta una “pagina ampiamente positiva che ci pone davvero all’avanguardia della Comunità internazionale, e dobbiamo mantenere e sempre più migliorare questa condizione”. Nonostante ciò, la ricerca clinica in Italia è fortemente trascurata.

Secondo l’ultimo rapporto Anvur 2018, l’ammontare destinato alla ricerca in Italia nel 2018 era pari all’1,32% del Pil, al di sotto della media dei paesi Ocse e dei paesi europei, rispettivamente al 2,36% e al 1,95%.

Di queste risorse l’Italia riserva circa il 20% alla ricerca medica. Nel 2018 i fondi complessivi destinati alla ricerca ammontavano a circa 2,3 miliardi di euro, circa 406 euro per abitante, contro la media europea di 656 euro. Nel 2020 saranno 2,7 miliardi, tuttavia permane un sistema di assegnazione delle risorse incostante e “a pioggia”, in cui solo una piccola parte dei finanziamenti viene assegnata per merito.

Ma non sono solo i numeri a far discutere. La struttura di erogazione di risorse, specialmente per la ricerca clinica, è frammentata e poco efficiente.


2) Coronavirus in Lombardia e Veneto: un problema per l’economia di tutta Europa

Il coronavirus, come le più comuni influenze, provoca danni maggiori a chi è più fragile. Allo stesso modo, è destinato ad avere un impatto più grave sulle economie già traballanti. Tra queste, l’Italia.

Nell’ultimo trimestre dello scorso anno il Pil si è contratto secondo l’Ocse dello 0,3%. Se la nostra economia dovesse rallentare anche in questo periodo, sarebbe recessione tecnica, trattandosi del secondo trimestre consecutivo di crescita negativa. La percepita insicurezza è alimentata da alcune recenti decisioni: l’annullamento del Carnevale di Venezia, il parziale rinvio della Serie A, le scuole chiuse.

Un impatto globale

Al di là delle fragilità strutturali del paese, un’incognita proviene dall’evoluzione globale del fenomeno e il suo impatto sui nostri partner commerciali, Cina in primis. Infatti, tra il 15 e il 40% delle attività produttive nei settori chiave sono in stallo, al punto tale che la crescita economica – si stima – si aggirerà intorno al 4,5% nel primo trimestre dell’anno, rispetto al 6% dell’ultimo trimestre del 2019.

Anche i paesi meno interessati dal Coronavirus stanno subendo delle ripercussioni. La ragione principale risiede nell’attuale interruzione delle supply chainsovvero le sempre più internazionali catene di approvvigionamento a cui le aziende ricorrono per la proprie attività. Nella sola Wuhan, epicentro della diffusione del virus, producono più di 300 delle 500 Top Companies del mondo per fatturato. Uno dei maggiori benefici della globalizzazione rischia di diventare il catalizzatore di un’eventuale crisi. Apple ha tagliato le sue stime di vendita e gli investitori tedeschi, come testimoniato da una recente indagine ZEW, temono che l’epidemia possa smorzare la ripresa della manifattura, la quale sconta già le tensioni commerciali degli ultimi due anni.


3) Lo sguardo oltre l’effetto virus: deficit mezzo pieno o mezzo vuoto?

Gli ultimi dati Istat  ci dicono che il rapporto deficit/Pil per il 2019 è stato del solo 1,6%, a fronte di un preventivato 2.2%. Il NADEF, invece– la Nota di Aggiornamento al Documento Di Economia e Finanza – aveva rivisto a rialzo la precedente stima del 2,1%. Non dobbiamo farci ingannare dal buon risultato: i noti problemi dell’economia italiana, come la crescita anemica e debito eccessivo, permangono. Tuttavia, se si pensa alla lunga e conflittuale contrattazione tra il governo Conte I e Bruxelles sulla manovra finanziaria è naturale chiedersi come si è arrivati a un deficit così basso.

Secondo l’economista Daveri, possiamo spiegare il valore inatteso con due elementi: una spesa pubblica minore delle aspettative, dovuta a un minore tasso di utilizzo di Reddito di Cittadinanza (RdC) e Quota 100, e un incremento delle entrate, grazie alle misure di lotta dell’evasione e alla fatturazione elettronica.


4) Detrazioni e deduzioni Irpef, una giungla. Meglio sussidi e voucher?

L’espressione che si usa più spesso è quella: giungla. Un intreccio complicato in cui muoversi è difficile e perdersi è facile. Il sistema di deduzioni e detrazioni che accompagna l’Irpef, la principale imposta sul reddito in Italia, assomiglia proprio a una giungla. Non è un caso infatti che proprio il tema delle deduzioni e detrazioni sia uno dei nodi centrali nel dibattito in corso nella maggioranza di governo.

Un sistema complesso e inefficiente

Le deduzioni, ricordiamo, sono importi che è possibile sottrarre dal reddito complessivo prima dell’applicazione delle aliquote, nel momento di determinazione della base imponibile. Le detrazioni sono invece importi che è possibile sottrarre dall’imposta lorda, ovvero dopo l’applicazione delle aliquote, per ridurne l’ammontare. Attualmente l’Irpef conta un discreto numero di deduzioni (21) e di detrazioni (47). Per fare due esempi: la principale deduzione è quella relativa ai contributi previdenziali e assistenziali, mentre sul fronte delle detrazioni a fare la parte del leone è quella sui redditi da lavoro dipendente e da pensione. L’attuale struttura presenta alcune serie criticità: un problema rilevante è quello degli incapienti, ovvero coloro che hanno un reddito così basso da non pagare tasse, ma che quindi non possono neanche sfruttare eventuali detrazioni di cui avrebbero diritto (dal momento che ovviamente sotto zero non si può scendere e non esiste un rimborso per chi dovrebbe ricevere più di quanto deve dare). In secondo luogo, il numero e la struttura di deduzioni e detrazioni danno vita a un sistema di “guadagni e perdite” di tasse troppo complicato e confuso. Infine, nel costruire il nostro sistema di welfare abbiamo una tendenza eccessiva ad agire sul fronte delle entrate (facendo “sconti” sulle tasse), quando sarebbe più efficace agire su quello delle uscite (dando sussidi e fornendo servizi).


5) Le conseguenze economiche della legge elettorale

Come influiscono i sistemi elettorali sull’economia di un Paese?

Sistemi elettorali ed economici

Quando si parla di legge elettorale, l’Italia assomiglia alla Firenze del ‘300 descritta da Dante negli ultimi versi del VI Canto del Purgatorio: una Firenze che cambia “legge, moneta, officio e costume” come un malato che si gira e rigira nel letto senza trovare pace. In queste settimane si è infatti tornato a parlare di modifica della legge elettorale, e se la riforma dovesse andare in porto si tratterebbe della quinta legge elettorale in 25 anni. Il dibattito sul tema sembra però avvitato in uno sterile tatticismo di convenienza politica, concentrato principalmente su quale partito risulterebbe avvantaggiato e quale svantaggiato da una determinata legge elettorale. Le regole che determinano l’elezione dei parlamentari hanno invece conseguenze molto più ampie, che influenzano anche l’andamento economico di un Paese. Queste conseguenze vanno tenute in considerazione se si vuole, in maniera lungimirante, disegnare un sistema elettorale destinato a durare negli anni, e su questi temi le ricerche degli economisti hanno da tempo prodotto numerosi risultati.


6) Legge elettorale: quali effetti su politici e cittadini?

Maggioritario e proporzionale hanno effetti diversi sul comportamento di eletti ed elettori: la nostra analisi per YouTrend.

Le conseguenze politiche della legge elettorale

Negli ultimi mesi, con il referendum sul taglio dei parlamentari alle porte, si è riaccesa la discussione sulla legge elettorale. PD e M5S hanno raggiunto un accordo per una nuova legge elettorale puramente proporzionale che sostituirà il Rosatellum, che è invece un mix tra proporzionale e maggioritario, con listini bloccati nei collegi plurinominali e first-past-the-post nei collegi uninominali.


7) Fondi alle università: contiamo anche i fuori corso

In Italia la spesa per l’educazione terziaria è più bassa del 30 per cento rispetto alla media Ocse. In più il criterio dei costi standard per l’assegnazione delle risorse agli atenei rischia di aumentare gli squilibri. Da qui la necessità di correttivi

Spesa storica e costi standard

Che in Italia vi sia un problema nei meccanismi di finanziamento pubblico al sistema universitario non è certo una novità. Stando a dati Ocse del 2019, la spesa per l’educazione terziaria nel nostro paese è inferiore del 30 per cento rispetto alla media Ocse. Risorse scarse che vengono distribuite secondo due criteri: quello della spesa storica e quello del costo standard. Cosa sono e in cosa differiscono?


8) Output gap blues. Ecco da cosa dipende la flessibilità dell’Europa cattiva

C’è una parola ricorrente nei recenti confronti tra Italia e Unione Europea: flessibilità. Flessibilità sulle regole di spesa. L’Italia l’ha sempre cercata, a prescindere dal colore politico del governo, per ottenere una manovra fiscale espansiva e supportare la ripresa di un’economia in crisi. Secondo le disposizioni fiscali europee, la flessibilità concessa dipende dal cosiddetto “output gap”, ossia la differenza tra quanto produciamo e quanto potremmo produrre ogni anno. Insomma, una stima dello stato di salute di un’economia. Negli ultimi anni, l’ output gap italiano si sta assottigliando e con esso la flessibilità concessa, anche se l’economia italiana non sembra ancora tornata a condizioni ottimali. Ma come spiegare questa discrepanza?


9) Dazi: lo ‘straordinario’ accordo Usa-Cina non lo è mica tanto. E’ quasi impossibile da rispettare, e mancano due cose fondamentali

Mercoledì 15 gennaio Stati Uniti e Cina hanno siglato quello che è stato definito dallo stesso Trump uno “straordinario” accordo commerciale, dopo più di venti mesi di schermaglie. Ma è veramente straordinario?

Numeri difficili da rispettare

I dettagli: la Cina acquisterà beni statunitensi per almeno 200 mld di dollari in più rispetto al 2017. Gli acquisti avverranno nel prossimo biennio e si concentreranno nel settore energetico (prevalentemente petrolio e gas), nei prodotti manifatturieri, agricoli e dei servizi. In cambio gli Stati Uniti si impegnano a ridurre dal 15% al 7,5% l’aliquota dei dazi imposti su 120 mld in merci cinesi, lasciando invariata quella del 25% su altri 250 mld, destinata a essere ridotta nelle fasi successive dell’accordo.


10) Produttività in Italia: un blocco culturale più che tecnologico

Il problema della produttività in Italia
La produttività è un po’ il motore delle economie. Essere più produttivi significa saper raggiungere un maggior output dato un certo input o, equivalentemente, utilizzare meno input per ottenere lo stesso output. Ciò spiega il perché sia spesso in cima alle priorità dei dossier dei ministri dello sviluppo e il perché se ne parli spesso nei media. Il caso italiano fa scuola, purtroppo in senso negativo, con una condizione stagnante dalla metà degli anni ’90. Misurare le produttività è complesso, visto la miriade di fattori che possono influenzarla (ne avevamo parlato precedentemente). Qui vogliamo concentrarci su un fattore troppo spesso dimenticato: la qualità del management.

Redazione

Author Redazione

More posts by Redazione