Articolo pubblicato per Pandora Rivista
Siamo ufficialmente entrati nella Fase 2 dell’emergenza coronavirus in Italia. Gli ultimi dati economici attestano però il congelamento dell’economia italiana, un fenomeno in linea con il resto dell’Europa. Sebbene i licenziamenti siano stati vietati, si registra un aumento degli inattivi, e perdite sensibili per la maggior parte delle attività. La produzione industriale è crollata. In questa situazione, i lavoratori autonomi sono stati particolarmente colpiti dalla crisi, complice un sistema che garantisce minore protezione sociale rispetto ai lavoratori dipendenti.
Le prime misure d’aiuto
Una delle più importanti misure di aiuto è stata l’elargizione di una “Indennità Covid-19”: un sussidio di 600 euro introdotto con il decreto Cura Italia e rivolto a coloro che non possono rientrare nella protezione della Cassa integrazione ordinaria o straordinaria. Parliamo di liberi professionisti con partita Iva e collaboratori coordinati e continuativi (i.e. co.co.co, una forma di lavoro parasubordinato con limitate protezioni sociali) iscritti alla Gestione Separata, di artigiani, commercianti, coltivatori, lavoratori stagionali del settore turistico e infine di iscritti al Fondo Pensioni dello spettacolo. Un insieme quanto mai eterogeneo per caratteristiche e numerosità e colpito in maniera differente dalla crisi: il coronavirus ha bloccato il 41,5% dei lavoratori indipendenti, rispetto al 34,5% registrato tra i dipendenti.
L’utilizzo di una misura unica e indifferenziata è da ricondursi a esigenze di tempestività e semplicità procedurale. Dopo più di un mese dall’invio delle prime domande – partite il 1 aprile – è possibile tirare le prime somme dell’efficacia dell’intervento, analizzando quanti soggetti hanno effettivamente ricevuto il sussidio. Dopotutto, il fine principale dell’indennità è fornire una integrazione al reddito. I dati di Banca d’Italia ci aiutano in questo.
Primi pagamenti e primi problemi
Le domande pervenute tra il 14 e il 23 aprile sono state poco più di 4 milioni, di cui effettivamente accolte poco più di 3 milioni, per un importo totale di sussidi stanziati di quasi 2 miliardi di euro. La prevalenza dei pagamenti va ai lavoratori autonomi (circa il 70%), seguiti dai lavoratori agricoli (15%) e lavoratori con partita iva o co.co.co (10%). Il numero di sussidi erogati rappresenta però solo il 79% delle domande pervenute e, da un più recente report dell’INPS, si evince che le rimanenti siano in istruttoria o siano state respinte. Inoltre, quest’ultime variano molto tra le diverse categorie di lavoratori: dal 9% per i lavoratori autonomi, si passa al 50% per i lavoratori a partita iva o co.co.co. Le principali cause dietro la mancata erogazione, secondo quanto detto dal presidente dell’INPS Pasquale Tridico nell’audizione del 20 aprile, sono la mancanza di requisiti – come per esempio nel caso di lavoratori dipendenti con anche partita iva – (circa 400 mila domande) e la condivisione di Iban errati (circa 250 mila domande).
Se confrontiamo i fondi stanziati dal Cura Italia per ogni categoria rispetto ai pagamenti già erogati al 23 aprile, notiamo che i fondi per autonomi e co.co.co erano già stati quasi esauriti, mentre solo il 26% dei fondi era stato assegnato ai lavoratori dello spettacolo: ciò può essere dovuto a una sovrastima degli appartenenti alla categoria o a un forte ritardo nei pagamenti.
Delle prime differenze riguardo la distribuzione delle indennità sono identificabili guardando al genere. Tra le categorie eleggibili, come si può notare dal seguente grafico, le donne rappresentano circa il 52% dei lavoratori a partita iva o co.co.co e stagionali del turismo, mentre costituiscono meno del 40% nelle rimanenti categorie, rappresentando una percentuale totale tra i beneficiari del 35%.
Se invece si guarda alle diverse fasce d’età, l’età media complessiva è di 46 anni. I lavoratori con meno di 25 anni, infatti, rappresentano una piccolissima percentuale dei beneficiari (circa il 3%) mentre quelli tra i 35 ed i 54 anni circa il 57%. Questo si può spiegare in due modi: in Italia il tasso di occupazione dei giovani tra i 15 ed i 24 anni è del 18%, essi rappresentano quindi solo una piccola parte della forza lavoro. Inoltre, sono spesso coinvolti in forme contrattuali escluse dall’indennità tranne che nel caso degli stagionali del turismo, categoria in cui rappresentano solo il 17% delle domande accolte.
Concentrandoci invece sulla dimensione geografica, i sussidi erogati e l’importo ricevuto variano considerevolmente tra le diverse regioni. I maggiori flussi di pagamenti sono stati riscontrati in Lombardia (14%), Puglia (9%) e Sicilia (9%) mentre i minori in Basilicata (1%), Molise (0,5%) e Valle d’Aosta (0,3%). Queste differenze rispecchiano senz’altro la differenza in popolazione residente, infatti Basilicata, Molise e Valle d’Aosta sono le regioni meno popolose d’Italia. Inoltre, è importante notare che il tessuto produttivo varia sensibilmente tra le diverse regioni, ne segue che anche le forme d’impiego e la tipologia contrattuale siano differenti e che i flussi di sussidi erogati riflettano questa differenza.
Tuttavia, è importante chiedersi se tali misure siano state in grado di raggiungere tutta la platea potenzialmente eleggibile oppure no. In altre parole, tutti i lavoratori che avevano il diritto di beneficiare della “Indennità Covid-19” hanno presentato domanda?
Per poter dare una risposta è necessario calcolare il tasso di adesione al sussidio (take-up rate), cioè il rapporto tra le domande presentate e il numero di persone aventi diritto a presentarle per ogni categoria di lavoratori. Tali informazioni purtroppo non sono pubbliche, quindi ci limiteremo a riportare i dati raccolti e utilizzati dalla Banca d’Italia. I lavoratori dello spettacolo sono stati esclusi dall’analisi per mancanza di informazioni, invece i lavoratori a partita iva o co.co.co sono stati raggruppati insieme agli autonomi, mentre i dipendenti stagionali del turismo con i lavoratori agricoli. Le seguenti mappe offrono un’idea di come il tasso di adesione vari tra le diverse regioni d’Italia. Per quanto riguarda i lavoratori a partita iva, co.co.co e autonomi (mappa a sinistra) il tasso varia tra il 59% e l’84% con maggiori adesioni al nord e lungo la costa adriatica. Mentre il tasso di adesione dei dipendenti stagionali del turismo e i lavoratori agricoli (mappa a destra) oscilla tra il 27% e l’83% con una maggiore adesione al sud Italia.
In termini aggregati si stima invece che la platea di potenziali beneficiari sia di 5 milioni di italiani. Di conseguenza, supponendo che tutte le domande dei lavoratori eleggibili siano state accolte, il 30% delle persone che avrebbero potuto beneficiare di tale misura non ha neanche presentato domanda. In altre parole, circa 1 lavoratore su 3 avente diritto non vi ha aderito. Come mai non tutte le persone eleggibili hanno presentato domanda? Tralasciando i possibili errori di stima dovuti, per esempio, a un’incorretta definizione delle diverse categorie di lavoratori, le spiegazioni potrebbero essere molteplici. In parte, ci potrebbero essere lavoratori che, seppur eleggibili, hanno preferito non presentare domanda poiché non necessitavano di supporto economico. Sicuramente anche la comunicazione ha giocato poi un ruolo fondamentale. Infatti, una scarsa conoscenza dell’esistenza di tali misure e poco chiarezza sul loro contenuto crea confusione tra i cittadini. Oltre al tasso di adesione, è però importante chiedersi se l’“Indennità Covid-19”” sia stata in grado di offrire sufficiente supporto ai lavoratori autonomi. 600 euro possono essere pochi, considerato che il massimale CIG per cassa ordinaria e straordinaria è di circa 1.000 euro.
Un passo in avanti
In tal senso il decreto Rilancio sembra rappresentare un passo in avanti rispetto al Cura Italia. Infatti, ammette un aumento dell’indennità a 1.000 euro per professionisti con partita IVA iscritti alla Gestione Separata che dimostrino una riduzione del 33% del reddito nel secondo bimestre del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. Stessa somma viene concessa ai lavoratori co.co.co e agli stagionali che abbiano cessato involontariamente il rapporto di lavoro tra il 1 gennaio 2019 e il 17 marzo 2020. L’aumento è valido per il solo mese di maggio. Alle altre categorie viene automaticamente esteso il contributo di 600 euro per i mesi di aprile e maggio. Secondo le dichiarazioni del Ministro Gualtieri, questa volta i pagamenti dovrebbero arrivare entro 2-3 giorni per questa categoria che ha già superato i controlli dell’INPS. Inoltre, il decreto Rilancio allarga la platea dei beneficiari anche a molte categorie rimaste tagliate fuori dal Cura Italia: stagionali al di fuori del settore turistico e termale, lavoratori intermittenti, venditori a domicilio. Questi ultimi avranno diritto allo stesso importo di 600 euro, mentre 500 euro verranno destinati ai collaboratori domestici. Bene aver ampliato la platea dei beneficiari, sebbene alcune categorie siano ancora dimenticate: i tirocinanti per esempio, di cui avevamo già parlato. Nuovamente il governo si è dimenticato dei più giovani e, spesso, dei più vulnerabili. Il tirocinio non è un’esperienza di lavoro, ma un’attività formativa per cui viene corrisposta un’indennità di partecipazione minima di 300 euro, mentre non è previsto il versamento dei contributi e una tutela in caso di interruzione dell’attività. Parliamo di circa 348mila giovani.
Non mancano però nemmeno stavolta problemi da parte dell’ente erogatore: l’INPS. Molte domande di soggetti iscritti alla Gestione Separata sono state respinte con la richiesta di inviare all’Istituto delle informazioni già in suo possesso. Il decreto Rilancio nasce proprio con l’intento di apporre le correzioni necessarie al decreto Cura Italia, rifinanziando al contempo le indennità. L’intervento è poderoso e sicuramente muove nella giusta direzione. Sommariamente possiamo dire che abbia funzionato, supportando un alto numero di soggetti che altrimenti sarebbero stati privi di supporto economico. Eppure, come abbiamo visto, gli intoppi non sono mancati.
La principale problematica sembra essere stata logistica. In tempi emergenziali, la tempestività è chiave per sostenere il reddito e mantenere la fiducia dei cittadini. Purtroppo, vi sono state molteplici difficoltà da parte dell’INPS fin dal giorno dell’apertura delle procedure. L’accentramento di tutte le categorie presso l’istituto, che al contempo doveva gestire anche le pratiche relative alle Casse Integrazione, ha generato dei colli di bottiglia.
L’economia italiana è stata duramente colpita dal coronavirus. Se le imprese considerate strategiche hanno continuato a operare – parliamo del 48% delle imprese italiane che generano il 53% dell’export nazionale – è chiaro che l’impatto è stato più forte per le restanti categorie, specialmente gli autonomi. Di fronte a fenomeni di tale portata è difficile intervenire. Eppure il coronavirus e la gestione dell’indennità Covid-19 hanno messo in evidenza problemi che erano già presenti. In primis, le falle organizzative nella pubblica amministrazione e la mancanza di personale, con uffici in sotto-organico che sono stati sopraffatti da un numero di procedure senza precedenti; inoltre, una piattaforma digitale ancora insufficiente a gestire elevati flussi informativi o picchi negli utilizzi. Il coronavirus ha evidenziato nuovamente che la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici e amministrativi giocano un ruolo fondamentale nel sistema economico di un paese. La risoluzione del problema passa da un piano strategico per le future assunzioni della PA, dalla formazione del personale, dall’investimento nelle infrastrutture informative. Infine, il coronavirus ha rivelato un altro vizio storico: la tendenza a complicare troppo le norme e i decreti, rendendole non fruibili e comprensibili ai non addetti ai lavori, indebolendo l’efficacia comunicativa e riducendo l’effettiva platea degli utilizzatori. Problemi che occorrerà affrontare. Ora è il momento di ripartire, con prudenza e metodo.