Articolo pubblicato per Econopoly – Il Sole24Ore

Nei primi tre articoli di questa serie ci siamo occupati di inquadrare gli effetti prodotti dalla crisi per la prima ondata di Covid-19 sull’economia italiana, da varie prospettive: nel primo abbiamo analizzato le ricadute sui giovani, nel secondo quelle su donne, stranieri e inattivi, e nel terzo ci siamo concentrati sulle differenze tra regioni. In questo quarto articolo, avendo un quadro piuttosto chiaro di chi ha pagato il conto più salato per la prima ondata della pandemia, ci dedicheremo a porre al vaglio le riforme programmate nella ventura legge di bilancio per combattere gli effetti catastrofici del virus sul mercato del lavoro.

Approvato il 16 novembre scorso dal consiglio dei ministri, il Ddl di bilancio 2021 con il relativo bilancio pluriennale (2021-2023) rappresenta il principale strumento normativo con cui il governo conta di combattere la crisi attuale e incombente dovuta alla pandemia di Covid-19. La manovra, che entrerà in vigore a partire dal primo gennaio prossimo, vale circa quaranta miliardi di euro e si configura sostanzialmente in una cospicua espansione fiscale. Malgrado non sia ancora stata approvata dalle camere al momento di scrittura di quest’articolo, il testo della legge approvato in sede governativa è già pubblico, e dal punto di vista delle misure proposte per fronteggiare la crisi vi sono diverse voci da evidenziare. In particolare, in quest’articolo ci concentreremo sul pacchetto di decontribuzioni per le frange di lavoratori più colpite e sulla proposta di istituzione del «Fondo a sostegno dell’impresa femminile».

Decontribuzioni: per chi sono e quanto valgono?

Buona parte delle risorse stanziate per legge di bilancio (circa 26 miliardi) andrà speso in «riduzione della pressione fiscale e contributiva»; in quest’ambito, vengono implementate una serie di decontribuzioni per le categorie più sfavorite dalla crisi, che varranno circa sei miliardi l’anno per i prossimi tre anni. Tali decontribuzioni riguardano innanzitutto i giovani (under 35) e le donne, le cui assunzioni saranno esenti da ogni contributo per tre anni, fino a un massimo di 6.000 euro l’anno, senza prerequisiti per le aziende o i lavoratori. Inoltre, viene prorogata fino al 2029 la fiscalità di vantaggio per le imprese del mezzogiorno; anche questa una decontribuzione, la quale si rivolge alle assunzioni in otto regioni meridionali che soffrono maggiormente il divario con le controparti del nord in termini di Pil pro capite. Lo sgravio per le aziende in questione varrà fino al 30% delle imposte dovute per gli anni fino al 2025, per poi abbassarsi al 10%.

Rischi e potenziali benefici degli sgravi fiscali

Questo pacchetto di fiscalità espansiva, a nostro giudizio, può rivelarsi un intervento utile per risanare la situazione attuale del mercato del lavoro italiano, ma si accompagna a dei rischi. Infatti, da un lato gli sgravi vanno a favorire categorie che avevamo individuato come le più colpite dalla crisi (giovanidonnelavoratori residenti al Sud), offrendo validi incentivi alle aziende per assumere coloro che più di frequente hanno perso l’impiego negli ultimi mesi. Dall’altro, il fatto che gli sgravi siano privi di condizionalità li espone a un problema di mancata selezione delle aziende beneficiarie. Infatti, non si può essere sempre sicuri che le decontribuzioni siano decisive per la scelta al margine estensivo (assumo o non assumo). In altre parole, può capitare che un’azienda che assume un giovane nei prossimi mesi, e quindi beneficia dello sgravio, lo avrebbe assunto comunque anche in sua assenza. In questo caso la decontribuzione rappresenta un sussidio concesso a un’azienda che non lo necessiterebbe. Da questo punto di vista, introdurre delle condizioni, ad esempio sui profitti delle aziende nell’ultimo anno contabile, potrebbe aiutare a evitare sprechi di risorse.

Fondo a sostegno dell’impresa femminile: a cosa serve?

Altra proposta rilevante sul mercato del lavoro è quella dell’istituzione presso il Ministero dello Sviluppo economico del “Fondo a sostegno dell’impresa femminile”. Il fondo avrà una dotazione di 20 milioni di euro per il 2021 e altrettanti per il 2022 e finanzierà interventi per supportare l’avvio dell’attività, gli investimenti e il rafforzamento della struttura finanziaria e patrimoniale di imprese a conduzione femminile, con grande attenzione ai settori dell’alta tecnologia. Inoltre, dovrà sostenere programmi e iniziative per la diffusione di cultura imprenditoriale tra la popolazione femminile e iniziative di formazione e orientamento verso materie e professioni in cui la presenza delle donne è ancora limitata.

Perché è un bene incentivare l’impresa femminile

A nostro avviso, favorire l’imprenditorialità femminile può rivelarsi una mossa con un triplice beneficio. In primo luogo, quello di ridurre la disoccupazione: un recente studio del FMI evidenzia infatti la maggiore efficacia di questo tipo di incentivi nel ridurre la disoccupazione di lungo periodo, rispetto persino a misure più dirette quali assunzioni temporanee da parte dell’apparato pubblico. In secondo luogo, quello di ridurre il gap esistente fra il tasso di imprenditoria maschile e femminile nel nostro paese: con una proporzione di 6 donne ogni 10 uomini fra i nuovi imprenditori l’Italia è infatti ancora lontana su questo fronte da paesi come Spagna (9 ogni 10) o Stati Uniti e Canada (8 ogni 10). Infine, secondo noi questo genere di incentivo è tra i più validi per combattere il fenomeno del cosiddetto part-time involontario femminile.

Per part-time involontario si intende la condizione di un lavoratore che possiede un’occupazione part-time ma vorrebbe ottenere un contratto a tempo pieno. Da questo punto di vista, i dati Ocse del 2019 mostrano per l’Italia un quadro piuttosto sconfortante: il 33.4% delle donne nella forza lavoro possiede un contratto part-time (7.6% per gli uomini), e quasi due terzi di queste (il 61.6%) si trova in condizione di part-time involontario. In altre parole, più della metà delle donne che lavorano part-time in Italia vorrebbero un contratto a tempo pieno ma non riescono a ottenerlo: sono quasi due milioni in numero assoluto.

Meriti e limiti della proposta

Questi dati suggeriscono l’esistenza di una disparità di genere nel trattamento concesso dai datori di lavoro italiani; infatti in questo caso non vale l’argomento delle differenti preferenze di genere che dovrebbero distinguere uomini e donne, visto che il part-time involontario è per definizione uno stato di insoddisfazione lavorativa dell’individuo. Attenzione però, l’analisi condotta non è sufficiente per dimostrarlo e servirebbero considerazioni ulteriori, ma l’evidenza presentata punta in questa direzione. Dunque, assumendo che esista una questione culturale di questo tipo, secondo noi il modo migliore per risolverla è quello di favorire un ricambio dei datori di lavoro stessi, proprio attraverso incentivi che premino le donne che fanno impresa, le quali difficilmente saranno prevenute sui dipendenti del loro stesso sesso.

Se combinata alle iniziative europee in questo ambito, come la creazione della piattaforma di supporto online “wegate” volta a favorire il contatto e la condivisione di esperienze imprenditoriali fra donne, l’istituzione del fondo  potrebbe dunque costituire una vera marcia in più per l’economia italiana, anche in termini di aumento della produttività del nostro paese (che è ferma ormai da vent’anni).

Purtroppo, però, le risorse dedicate a questa iniziativa appaiono piuttosto scarse se distribuite su scala nazionale: gli scopi dichiarati di sostenere direttamente imprese meritevoli, fornire assistenza tecnico-gestionale e intraprendere azioni di comunicazione mirata a sostenere l’immagine dell’imprenditoria femminile non sono proporzionati all’esiguo finanziamento concesso (20 milioni di euro l’anno, appunto). Inoltre, favorire la creazione di nuove imprese può non essere sufficiente in assenza di un supporto di medio-lungo periodo che eviti la chiusura di giovani aziende con buone prospettive: sarebbe quindi opportuno che gli interventi di sostegno all’imprenditorialità femminile messi in programma includessero anche un percorso di proseguimento nel supporto per le attività selezionate, che permetta alle nuove imprese di crescere.

Miglioramenti necessari

In conclusione, gli interventi sul mercato del lavoro presentati nella legge di bilancio sembrano muoversi nella giusta direzione. Tuttavia, sarebbero opportuni alcuni accorgimenti: da un lato, applicare una qualche forma di condizionalità agli sgravi, affinché favoriscano maggiormente le fasce della forza lavoro più colpite dalla crisi;  dall’altro aumentare le risorse stanziate per favorire la partecipazione e l’imprenditorialità femminile, rendendo così credibile l’intento dichiarato dell’iniziativa: riteniamo infatti che investire risorse per rendere produttiva questa fetta della nostra forza lavoro possa generare benefici molto maggiori e di più lunga durata rispetto – per esempio – all’ennesimo enorme (e regressivo) bonus rivolto ai possessori di case e immobili.

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