Articolo pubblicato per Business Insider
Il 2020 è stato un anno particolare per l’ambiente. La pandemia di Covid-19 ha letteralmente fermato il mondo per alcuni mesi contribuendo a ridurre le emissioni di CO2 del 7,5% nei Paesi G20 secondo un recente report. Ma l’impatto della pandemia si è riflesso anche sull’economia. Si attende una perdita del 4% del Pil per l’area G20 nel 2020, 25 milioni di nuovi disoccupati e fino a 100 milioni di nuovi poveri. Proprio per questo i governi hanno dovuto intervenire vigorosamente per supportare l’economia e i cittadini. A ottobre 2020, aiuti per circa 12,1 trilioni di dollari erano stati annunciati dai paesi del G20. Aiuti che sono stati elargiti velocemente e trasversalmente a molti settori dell’economia, ma che potrebbero paradossalmente rallentare la transizione verso la sostenibilità. Vediamo perché.
La (in)sostenibilità della ripresa
La crisi pandemica ha richiesto misure di supporto economico senza precedenti. Misure che, se ben utilizzate, rappresentano una preziosa occasione per investire sulla transizione ad un modello economico e sociale ambientalmente sostenibile.
Per valutare l’impatto che i piani di ripresa dei paesi del G20 possono avere sull’ambiente, Vivid Economics ha elaborato il Green Stimulus Index (Gsi). Il Gsi è calcolato a partire dall’ammontare di risorse finanziarie che sono state destinate a 5 settori chiave per l’ambiente (agricoltura, energia, industria, rifiuti, trasporti) rispetto a un indicatore che quantifica l’impatto ambientale delle misure attuate in ciascun settore. Ciò viene fatto sia analizzando dati storici che considerando le nuove misure attuate in risposta al Covid-19. Aggregando i settori si ottiene una misura finale – appunto il Gsi – che permette di analizzare la risposta fiscale al Covid-19 dei Paesi rispetto al loro impatto ambientale.
Che cosa rende un piano di ripresa economica “green”?
Per essere considerato tale, esso deve includere misure di ripresa che finanzino direttamente lo sviluppo della sostenibilità o che favoriscano la riduzione delle emissioni, tramite investimenti alla ricerca, sussidi o sgravi fiscali per l’acquisto di prodotti eco-friendly, o condizionalità legate alla sostenibilità su operazioni di bailout e salvataggio.
Secondo il Gsi, il totale complessivo di stimolo economico erogato dai Paesi G20 per la ripresa post-pandemica ammonta a circa 13 trilioni di dollari. Di questi, il 40% è stato destinato ai 5 settori sopra citati che hanno un impatto diretto sulle emissioni e sulla biodiversità.
L’indice ritiene che solo 5 Paesi abbiano implementato un piano di aiuti economici con un impatto ambientale complessivamente positivo e compatibile con l’obiettivo di contenere l’aumento delle temperatura al di sotto dei 2 gradi (secondo gli accordi di Parigi). Considerando che i paesi del G20 sono insieme responsabili per più di due terzi delle emissioni totali di gas serra, si tratta di un dato preoccupante. L’impatto positivo è dettato principalmente da investimenti nel settore pubblico, e in particolare da progetti infrastrutturali eco-sostenibili.
Il grosso dei finanziamenti di ripresa prende però la forma di aiuti alle imprese che, senza incentivi per una reale trasformazione dei propri processi, continueranno a operare in modo insostenibile. E secondo il report, sono proprio i Paesi più dipendenti da settori ambientalmente dannosi, come Cina, India e Russia, quelli con gravi insufficienze in termini di sostenibilità della ripresa.
Mentre l’Unione Europea si conferma leader della svolta green con il punteggio migliore – anche grazie al vincolo di destinazione del 37% delle risorse del Next Generation EU verso l’ambiente – la Russia chiude la classifica in negativo. Tra i Paesi più sviluppati, anche i piani di ripresa degli Stati Uniti, del Giappone e della Corea del Sud sono giudicati non sufficientemente ecologici, mentre Canada, Germania, Francia e Regno Unito si uniscono all’Ue tra i virtuosi.
L’Italia al confronto
Secondo il report del G20, l’Italia, che ha sinora erogato un totale di circa 500 miliardi di dollari in stimoli, si piazza settima in classifica, la peggiore tra i Paesi europei. A oggi, senza considerare i futuri interventi del Next Generation EU, i nostri interventi sono stati insufficienti.
Nonostante misure come l’Ecobonus introdotto dal Decreto Rilancio siano indubbiamente un passo nella giusta direzione, altre azioni di recupero economico a impatto negativo ne hanno cancellato i benefici, producendo un impatto finale netto negativo. In particolare, i sussidi a prodotti e imprese ad alta impronta ambientale dati senza condizionalità “verdi” rischiano di rallentare, se non invertire, il progresso fatto dall’Italia verso il raggiungimento dei suoi obiettivi ambientali.
Invece, i nostri vicini europei si distinguono con alcuni dei punteggi più alti: Spagna, Francia, Germania hanno messo in atto piani nazionali ambiziosi, soprattutto grazie al Next Generation EU. Ciò significa che sono riusciti a rispondere all’emergenza pandemica con misure coerenti rispetto la transizione energetica.
Ma come? La Francia per esempio ha inserito delle clausole ambientali nel salvataggio del settore aereo, al contrario del bailout senza condizioni ambientali di Alitalia.
La Germania ha varato un piano ambientale parallelo a quello europeo, il “Package for the Future” da 45mld di euro con misure focalizzate all’energia rinnovabile, all’idrogeno e al settore ferroviario e contributi alla ricerca focalizzata alla sostenibilità.
Occorre notare che il Gsi non incorpora ancora il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) per l’Italia. Ciò concorre a spiegare il punteggio più basso, ma soprattutto la mancata crescita nel corso del 2020 dell’indicatore rispetto agli altri Paesi europei. Questo non significa però che siamo salvi. Il vincolo di destinazione del NGEU del 37% delle risorse europee verso iniziative sostenibili è un elemento essenziale, ma non dovrà essere interpretato come un semplice paletto, un vincolo da rispettare. Abbiamo già mobilitato 500 miliardi di euro per la risposta pandemica con scarsi effetti sulla transizione verso la sostenibilità. Ciò significa che il Pnrr dovrà essere necessariamente un punto di svolta per il nostro paese. Anche dal punto di vista ambientale.
Cosa fare
Cosa fare per rimediare? Per le risorse che sono già state erogate negli scorsi mesi vi è poco da poter fare: l’inserimento di condizionalità ex-post o il convogliamento delle risorse verso settori più sostenibili non è più possibile. Occorre focalizzarsi sul NextGenEU. Le risorse europee sono infatti destinate a facilitare una ripresa economica all’insegna della sostenibilità e del digitale. Su quali punti dovrà focalizzarsi il Pnrr italiano?
In primis, occorre favorire investimenti prettamente ambientali (“nature-based solutions”) come soluzioni di riforestazione, prevenzione dei rischi idrogeologici e degli incendi, o soluzioni idriche di precisione. Queste operazioni richiedono un alto intervento di manodopera e relativamente un ridotto investimento di capitale. Ciò significa che un’alta parte della spesa viene convertita in reddito, con un impatto positivo per occupazione e consumi. Inoltre, sono anche interventi unitari e spesso non ricorrenti, quindi compatibili con le linee guida europee, ma che al momento sono scarsamente utilizzati, anche in Europa.
In secondo luogo, occorre predisporre sussidi per la ricerca e sviluppo di progetti sostenibili. Queste misure, già attuate ampiamente da Germania e Spagna per esempio, supportano le imprese nel finanziare un’attività ad alto rischio (la ricerca il più delle volte non va a buon fine) per cui, specie dopo un periodo di forte crisi, le risorse potrebbero mancare.
Infine, molte misure non prettamente ambientali possono essere funzionali al raggiungimento di questi obiettivi. L’inserimento di condizionalità ambientali (l’obbligo di diminuire le emissioni, di formare i dipendenti, per esempio) per accedere all’utilizzo di risorse nel NGEU sia per i privati che per i soggetti pubblici è un’azione dal basso costo ma con forti ripercussioni.