Articolo pubblicato per Linkiesta
Secondo l’ultimo report della Bei, l’Italia è leggermente in ritardo nell’adozione di tecnologie digitali rispetto alla media Ue, con un minore impiego di stampanti 3D, robotica, intelligenza artificiale e big data. E le piccole e medie aziende del nostro Paese faticano ad accedere al credito per gli investimenti digitali, che non generano garanzie sufficienti per le banche.
La Banca europei per gli investimenti (Bei) ha recentemente pubblicato il Report sulla digitalizzazione, che riassume i principali risultati per il 2020 dello European Investment Bank Investment Survey (Eibis), un sondaggio annuale che raccoglie informazioni su circa 13.500 imprese nei 27 paesi dell’Unione Europea, nel Regno Unito e negli Usa.
Dal report emerge come le imprese europee siano in ritardo nell’adozione di tecnologie digitali: il 37% delle società nell’Ue non ha implementato nessun tipo di tecnologia digitale, contro il 27% negli Usa. Vi è tuttavia molta eterogeneità (Figura 1): alcuni paesi (Finlandia, Svezia, Paesi Bassi, Danimarca e Repubblica Ceca) hanno tassi di digitalizzazione simili o superiori a quello statunitense, mentre altri (ad esempio Francia, Irlanda e Grecia) sono ben al di sotto della media europea.
La digitalizzazione delle imprese in Italia
Quali sono i principali risultati per il nostro paese? L’Italia è leggermente in ritardo nell’adozione di tecnologie digitali rispetto alla media Ue, con un minore impiego di stampanti 3D, robotica, intelligenza artificiale e big data (Figura 2). Disaggregando l’analisi a livello settoriale (Figura 3), il ritardo nella digitalizzazione si nota soprattutto nel settore manifatturiero (6 imprese su 10 sono digitalizzate, una in meno rispetto alla media europea) e nell’edilizia, con un tasso di digitalizzazione del 36% contro il 40% medio dell’Ue.
Inoltre, gran parte dell’occupazione si concentra nelle imprese di piccole dimensioni, le quali hanno tassi di digitalizzazione bassi e grosse difficoltà a crescere, caratteristiche che rappresentano un grosso svantaggio nel processo di digitalizzazione. Non a caso in settori come l’infrastrutturale, dove si registra un numero di medie e grandi imprese elevato, l’Italia fa invece meglio rispetto alla media europea.
Anche a livello dimensionale vi è un alto grado di eterogeneità. In Italia, le imprese di medie e grandi dimensioni raggiungono un tasso di digitalizzazione dell’80% circa, e tra le grandi imprese più della metà ha adottato almeno una tecnologia digitale. Le piccole imprese hanno invece un tasso di digitalizzazione inferiore al 50%, e 6 microimprese su 10 non hanno adottato nessuna tecnologia digitale.
L’importanza della transizione digitale
Perché è così importante facilitare la transizione digitale dell’economia italiana? Secondo i dati dell’Eibis, le imprese digitali investono maggiormente in asset intangibili, in particolare in ricerca e sviluppo, innovano di più, sono maggiormente produttive ed è più probabile che esportino all’estero i propri prodotti. In generale, le imprese più innovative contribuiscono maggiormente alla crescita dell’occupazione, mentre le imprese poco digitalizzate sono più soggette alla distruzione di posti di lavoro.
La digitalizzazione può quindi rappresentare una delle strade per risolvere la ventennale stagnazione della produttività italiana, nonché un’importante arma per affrontare la trasformazione delle attività economiche che caratterizzerà il periodo post-pandemico. Inoltre, le imprese digitali pagano generalmente stipendi più alti: tuttavia, anche alla luce dell’ampio consenso scientifico sul rischio che certe tecnologie rappresentano per l’occupazione e la domanda di lavoro, l’occupazione creata dalle imprese digitali è destinata a essere assorbita dai lavoratori con maggiori competenze tecniche (high-skilled).
Inoltre, le imprese digitalizzate investono maggiormente nel capitale umano dei propri dipendenti, offrendo loro training con maggiore frequenza. Incentivare la digitalizzazione potrebbe dunque contribuire a un generale miglioramento delle abilità dei lavoratori italiani, che a sua volta contribuirebbe alla trasformazione digitale. Secondo un recente studio infatti, agire sulla quantità e la qualità del capitale umano è la scelta più naturale ed efficace per sussidiare la digitalizzazione. Infine, l’Eibis stima che le imprese digitali sono meglio amministrate: è più probabile che abbiano un sistema di monitoraggio delle attività strategiche e che prevedano un sistema di pagamento basato (anche) sulla performance dei dipendenti (ad esempio attraverso bonus).
La transizione digitale è anche uno strumento per migliorare la resilienza ed efficienza delle Pmi, più vulnerabili a crisi di mercato. Tra i settori non strategici per affrontare il Covid, infatti, le imprese meno digitalizzate hanno sofferto maggiormente la pandemia. In aggiunta, per le Pmi la digitalizzazione crea l’opportunità di semplificare operazioni di contabilità, finanza e marketing, facilitare la comunicazione con clienti e fornitori, e inserirsi all’interno di nuove global value chains digitali, beneficiando della loro esposizione internazionale.
La crisi pandemica rappresenta quindi un’opportunità e un pericolo. Da un lato, ha palesato la necessità di accelerare la transizione digitale ed ha dimostrato l’importanza della digitalizzazione. Secondo i dati dell’Eibis, le imprese italiane hanno segnalato in larga parte di voler aumentare il proprio utilizzo di tecnologie digitali in futuro e hanno più raramente dichiarato di dover ridurre permanentemente il proprio numero di dipendenti a causa del Covid. D’altro canto, la pandemia rischia di inasprire ancora di più il cosiddetto digital divide, aumentando la distanza tra imprese digitali e non digitali. Queste ultime, infatti, sembrano essere meno convinte dell’importanza futura della digitalizzazione (solo una piccola impresa su tre dichiara che aumenterà il proprio utilizzo di tecnologie digitali, contro il 50% circa di quelle digitali) e riportano un impatto maggiore del Covid sull’occupazione.
Qualche spunto di policy
Cosa fare? I nuovi dati dell’Eibis confermano che l’Italia dovrebbe perseguire politiche per facilitare e incentivare la diffusione di tecnologie digitali in particolare tra le piccole imprese, in quanto maggiormente esposte a diversi ostacoli.
Il principale ostacolo è posto dalla bassa diffusione delle capacità di utilizzo, sviluppo e gestione della tecnologia. Da un lato, come abbiamo evidenziato in un precedente report, i cittadini e lavoratori italiani hanno meno competenze tecnologiche a tutti i livelli rispetto alla media europea. Dall’altro, il mondo imprenditoriale italiano è caratterizzato da scarsa meritocrazia, e il management di alcune aziende non ha le competenze per riorganizzare l’attività come richiesto dalla digitalizzazione dei processi.
Il governo dovrebbe quindi facilitare l’accesso ai corsi di formazione previsti dal piano Industria 4.0 e rafforzare il coordinamento con i Technology Innovation Center, con i quali le aziende possono sopperire alle loro carenze in capitale umano a ogni livello. È inoltre necessario che le categorie più fragili vengano incluse nelle politiche attive del lavoro in materia di digitalizzazione. Al momento l’Anpal promuove la formazione digitale dei Neet, ma non prevede simili offerte per disoccupati in età lavorativa, trascurando così buona parte della forza lavoro.
Inoltre, c’è scarsa volontà di innovazione e consapevolezza da parte delle Piccole e medie imprese italiane su costi, benefici e strumenti della digitalizzazione. Ciò potrebbe essere risolto creando un portale unico in cui le aziende possono trovare tutte le informazioni per l’adozione di nuove tecnologie adatte alla loro situazione, sul modello del Digitalometro di Bpifrance, la banca pubblica d’investimento francese volta ad accompagnare le imprese con soluzioni di finanziamento e accesso al credito. Basandosi sulla dimensione, il settore e le priorità, il Digitalometro aiuta le imprese a definire le attività prioritarie da cui avviare la digitalizzazione. In aggiunta, le Pmi italiane beneficerebbero da un’organizzazione più efficiente dei contatti con i fornitori di tecnologie, ispirandosi al TechMatch introdotto a Singapore. Questa iniziativa permette alle aziende di esporre liberamente il loro problema su una piattaforma online e ai fornitori di offrire soluzioni su misura.
In questa direzione, andrebbero rafforzate le collaborazioni con grandi aziende leader nell’innovazione e i Digital Innovation Hub (Dih), centri che svolgono la funzione di portale d’ingresso per le imprese italiane al mondo dell’Industria 4.0 e la transizione tecnologica. A oggi sono solo nove i partner della rete dei Dih: ampliare e rendere queste collaborazioni continuative, in ambito di divulgazione e formazione professionale, permetterebbe la condivisone di conoscenze tecniche e manageriali facilitandone l’implementazione. Alcune evidenze dimostrano che da queste iniziative di partenariato beneficiano sia le grandi aziende che le Pmi partecipanti.
Infine, vi sono forti difficoltà di finanziamento. Le Pmi, infatti, faticano ad accedere al credito per gli investimenti digitali, che non generano garanzie sufficienti per le banche. Un problema significativo dato che le Pmi italiane, rispetto alle equivalenti europee, ricorrono in maggior misura a prestiti bancari. Il governo potrebbe coinvolgere la Commissione Europea e sviluppare un piano per disporre garanzie per i progetti digitali, oltre che per formare il personale bancario nel campo degli investimenti digitali.