Articolo pubblicato per Econopoly – Il Sole24ORE
Negli ultimi mesi si è parlato molto di ‘fare il tagliando’ al Reddito di Cittadinanza (RdC), accendendo un intenso dibattito politico ed accademico sulla misura. L’ultimo rapporto annuale INPS parla di 1,6 milioni di nuclei familiari raggiunti dalla misura nel 2020, per un totale di 3,7 milioni di persone coinvolte. A marzo 2021 il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali ha istituito il Comitato Scientifico per la valutazione del RdC, suggerendo la volontà di riformare la misura con un approccio basato sulle evidenze empiriche esistenti. Durante questo periodo ci sono state critiche aspre da più versanti politici, che tendevano a sottolineare la mancata reintegrazione nel mercato del lavoro dei beneficiari, spesso accusandoli di “divanismo”. Al contrario, le analisi dei dati più recenti mostrano che solo un terzo dei percettori lavorava prima di ricevere il RdC, suggerendo una distanza pre-esistente dal mercato del lavoro piuttosto che una scarsa propensione a cercare un impiego.
Tuttavia, al fermento degli ultimi mesi non è seguito un altrettanto rivoluzionario disegno di riforma della misura nella Legge di Bilancio. Il testo diffuso la scorsa settimana si concentra soprattutto sul garantire maggiori controlli e rafforzare la condizionalità della misura, tendendo una mano più verso i sostenitori della tesi del “divano” che verso le evidenze empiriche.
Disegno di Legge di Bilancio: più controlli e misure punitive
Il testo si direbbe basato su due solide convinzioni: che il Reddito di Cittadinanza abbia requisiti troppo facili da eludere e che i percettori non siano sufficientemente incentivati a cercare un’occupazione.
Sul primo punto, il disegno di Legge di Bilancio mette enfasi sui controlli sui patrimoni all’estero. Inoltre, vengono introdotti controlli a campione da parte dei Comuni sui requisiti di residenza già all’atto della presentazione della domanda, aumentandone le responsabilità nel contrasto all’evasione.
Sul secondo punto, è stato ridotto il numero di offerte di lavoro congrue dopo le quali viene sospesa la fruizione del beneficio, passando da tre a due. Viene anche ridotto progressivamente l’ammontare del beneficio per i nuclei familiari soggetti agli obblighi lavorativi che ricevono importi superiori a 300 euro al mese moltiplicati per la scala di equivalenza, un valore utilizzato per tenere conto della composizione del nucleo familiare. L’ammontare è ridotto di 5 euro per ogni mese di fruizione dopo il sesto, e la riduzione si interrompe se almeno un componente del nucleo inizia una nuova attività lavorativa. L’idea di fondo va chiaramente nella direzione di incentivare i percettori a cercare lavoro, sebbene ci sia poca evidenza sul fatto che il problema sia in effetti una mancanza di volontà in Italia, e anche in altri paesi avanzati. Piuttosto sarebbe fondamentale puntare sui servizi per il supporto alla ricerca di lavoro, che per adesso restano ancora fortemente sottodimensionati e ancora non pronti a gestire la situazione. Su quest’ultimo fronte il testo di legge mette sul piatto fino a 70 milioni di euro in più nel 2022 per finanziare le attività dei Centri per l’Impiego dedicate alla reintegrazione lavorativa dei percettori di Reddito di Cittadinanza.
Se questo è un punto positivo, la legge si spende meno a dare una struttura di incentivi o una direzione precisa ai Centri per l’Impiego. Indicazioni più forti invece vengono date ai Comuni che saranno obbligati ad “impiegare” attraverso i progetti utili alla collettività almeno un terzo dei percettori residenti.
Viene invece offerto qualche incentivo in più al settore privato. Il nuovo testo permette ai datori di lavoro di ricevere il bonus per l’assunzione di percettori anche assumendo con contratti a tempo parziale o determinato, possibilità prima limitata al solo contratto a tempo pieno e indeterminato o all’apprendistato. Viene inoltre riconosciuto alle agenzie per il lavoro il 20% dell’incentivo nel caso in cui un percettore trovi lavoro a seguito di attività di intermediazione. Se e come questo aumenterà la domanda di percettori tra le imprese, lo vedremo nei prossimi mesi. Per ora, i pochi dati disponibili mostrano un grado di adesione molto basso delle imprese alla piattaforma MyAnpal, dedicata al ricollocamento dei percettori RdC.
C’è ancora molto da fare e in fretta
Oltre alle criticità descritte, gli articoli del disegno di Legge di Bilancio ignorano il vero problema del Reddito di Cittadinanza: non raggiunge i poveri.
Il rapporto Caritas di monitoraggio del RdC 2021 stima che il 44% delle famiglie in povertà assoluta riceva il Reddito di Cittadinanza. A restare esclusi più spesso sono stranieri, famiglie numerose con figli minori e nuclei che vivono al Nord, dove il costo della vita è maggiore.
Il requisito di residenza di 10 anni in Italia gioca una parte rilevante in questo, oltre ad essere molto difficile e costoso da controllare nella pratica. Non a caso buona parte del testo si spende a spostare l’onere di controllare questi requisiti dall’INPS ai Comuni. Viene specificato che la responsabilità di danno erariale in caso di somme corrisposte e non dovute è a carico del responsabile Comunale. Inoltre, sta emergendo come questo criterio limiti l’accesso alla misura alle categorie più vulnerabili. Non solo agli stranieri, ma anche a tutte le persone che vivono in condizioni di disagio abitativo e non riescono ad eleggere la propria residenza in un luogo in maniera stabile, o non hanno i titoli legali per farlo (es. contratto di affitto regolare).
Tra queste l’accesso alle misure di sostegno al reddito è ancora minore. Su questo è stata chiamata a esprimersi anche la Corte di Giustizia Europea. Come ha ricordato la sociologa Chiara Saraceno, l’Italia rischia una procedura di infrazione a causa del criterio di residenza vigente, troppo lungo e che non ha precedenti in altri paesi europei. Rimuovere questo requisito o ridurlo a due anni sarebbe uno dei modi più efficaci per liberarci di buona parte dei controlli difficili da implementare e dirigere le risorse verso chi ne ha più bisogno.
Altro ostacolo è quello di una scala di equivalenza che svantaggia le famiglie numerose. Infatti alla misura hanno accesso per lo più nuclei monocomponente che rappresentano il 40% dei nuclei beneficiari secondo l’ultimo rapporto Annuale INPS. Inoltre si era proposto di inserire soglie economiche più elevate per chi vive al Nord, dove il costo della vita è maggiore e l’accesso alla misura da parte delle famiglie svantaggiate è più limitato. Altro tema centrale è quello della rimodulazione dell’importo del RdC per permettere a chi trova un lavoro di continuare a riceverne una parte maggiore rispetto a quanto previsto oggi, in modo da sostenere un’uscita graduale dal supporto. Dal Comitato Scientifico per la valutazione del RdC, OCSE, Caritas, Alleanza Contro la Povertà e molti altri sono venute più proposte per il riordino del Reddito di Cittadinanza nelle direzioni sopra citate.
Le proposte per migliorare la misura sono sul tavolo e sorprende che il disegno di Legge di Bilancio resti silenzioso al riguardo, soprattutto considerando che abbiamo già aspettato troppo. In Italia l’incidenza della povertà assoluta tra le famiglie è aumentata dal 2,9% del 2008 al 5,8% nel 2019 (dati Istat), anno di introduzione del Reddito di Cittadinanza. Se lo avessimo introdotto prima, come in gran parte dei paesi avanzati, avremmo evitato il cronicizzarsi della disoccupazione e della povertà di molti percettori. Non c’è da sorprendersi che due terzi dei percettori non lavorassero già prima di ricevere la misura, e neanche che stentino a trovare lavoro oggi. Molti non sono stati presi in tempo negli anni della crisi. Se c’è un errore che paghiamo oggi come elettori e come contribuenti è quello di aver introdotto tardi una misura nazionale di contrasto alla povertà di questa portata, ed oggi dobbiamo affrettarci a migliorarla.
Arianna Gatta frequenta il PhD allo European University Institute con una tesi sulle condizionalità del welfare. È senior fellow del think tank Tortuga, tramite il quale pubblica questo contributo.