Articolo pubblicato per Econopoly

Lo scorso 10 ottobre è stato attribuito il premio Nobel per l’economia a Ben Bernanke, Douglas Diamond e Philip Dybvig per le loro ricerche sulle banche e sulle crisi finanziarie. In particolare, le ricerche dei tre premiati quest’anno hanno contribuito, durante gli anni ’80, a una migliore comprensione del funzionamento delle banche come intermediari finanziari e del loro ruolo durante le crisi economiche. L’impatto di queste ricerche è significativo non solo per una migliore comprensione del funzionamento dell’economia, ma anche per la conduzione della politica monetaria durante la crisi finanziaria cominciata nel 2008 e nella recente recessione dovuta al Covid. Proprio Ben Bernanke è stato a capo della Federal Reserve, la banca centrale statunitense, dal 2006 al 2014.

Diamond e Dybvig hanno esplorato da un punto di vista teorico il ruolo delle banche e la loro intrinseca vulnerabilità alle cosiddette “bank run” (le “corse agli sportelli”). Nel corso degli anni, hanno proposto modelli in cui l’interazione tra consumatori e imprese va a definire il ruolo delle banche come intermediari finanziari. L’obiettivo dei loro studi è capire quali vantaggi emergono per le due parti grazie alla presenza delle banche.

I loro risultati furono di forte rottura con il pensiero dominante dell’epoca, ispirato dal teorema di Modigliani e Miller, secondo il quale il valore di un’impresa non dipende dalla sua modalità di finanziamento, debito o azioni. Questo teorema – che porta il nome dell’italiano Franco Modigliani, che vinse il Nobel nel 1985 – è emblematico di una diffusa fiducia nel sistema finanziario. Tuttavia, Bernanke, Diamond e Dybvig mettono in luce come la forma di finanziamento non sia trascurabile nella pratica: i consumatori preferiscono risparmi a elevata liquidità, mentre le imprese desiderano ottenere finanziamenti di lunga durata (in modo commisurato agli investimenti svolti). Il ruolo di intermediazione finanziaria delle banche è quindi quello di convertire la breve maturità dei risparmi in interessi di lungo termine sugli investimenti. Proprio per questo, l’assenza delle banche nell’economia renderebbe difficoltoso il finanziamento di progetti profittevoli e di lunga durata. Poiché generalmente i risparmiatori propendono per mantenere i propri risparmi in una forma il più facilmente accessibile possibile, solamente l’utilizzo di depositi bancari permette di impegnare una parte consistente dei risparmi in investimenti.

Così facendo, però, le banche si espongono al rischio di subire bank run. In condizioni normali dell’economia, alcuni risparmiatori depositano risorse sui loro conti in banca e alcuni prelevano risorse. Fintantoché la proporzione di prelievi sul totale delle risorse depositate rimane nella norma, il ruolo delle banche di intermediazione finanziaria funziona. Una banca solida e solvente, cioè con abbastanza risorse per ripagare i creditori, però, è intrinsecamente fragile: immaginiamo che a un certo punto i risparmiatori perdano la fiducia rispetto alla solvibilità della banca verso tutti i risparmiatori. Siccome le risorse residue della banca (investite in progetti a lungo termine) non sono sufficienti per far fronte a un improvviso bisogno di liquidità, ciascun correntista avrà un incentivo a prelevare prima degli altri per assicurarsi un compenso. Ecco quindi che abbiamo una corsa agli sportelli. In breve, questo è il modello Diamond-Dybvig, secondo cui si possono realizzare due situazioni: una in cui le banche funzionano efficientemente e nessun risparmiatore si aspetta una bank run, e una in cui tutti i consumatori corrono a prelevare causando il collasso del sistema. Notiamo che nell’ultimo caso, l’assenza di cooperazione fra i risparmiatori comporta il crollo degli investimenti a lungo termine, minando la crescita economica. Inoltre, nel modello, la corsa alle banche non è dovuta a una crisi economica o a un’insolvenza della banca, ma è una profezia che si autorealizza.

Tore Ellingsen, Hans Ellegren e John Hassler, membri della Royal Swedish Academy of Sciences annunciano il Premio Sveriges Riksbank per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel 2022, durante una conferenza stampa presso la Royal Swedish Academy of Sciences di Stoccolma EPA/ANDERS WIKLUND SWEDEN OUT

Morris e Shin a inizio anni 2000 hanno esteso il modello introducendo l’incertezza sullo stato dell’economia e mostrano che se l’incertezza individuale è significativamente minore di quella aggregata, le corse alle banche avvengono quando i fondamenti economici sono deboli, ma rimangono sempre profezie che si autorealizzano. Una delle soluzioni proposte per questo problema è la creazione di un’assicurazione sui depositi: i correntisti, nel caso in cui una banca non riesca a far fronte alle proprie obbligazioni, sono rimborsati, fino a una certa cifra, dal governo o da un particolare fondo. Questo elimina l’incentivo a effettuare bank run. Tuttavia, questa soluzione apre a una serie di altre questioni, fra cui il rischio di azzardo morale, che aumenta l’incentivo delle banche a intraprendere azioni più rischiose perché sanno di essere coperte dall’assicurazione. Inoltre, negli anni sono emersi altri intermediari finanziari, non coperti da questi schemi di tutela, che hanno costituito il cosiddetto shadow banking system: in questo modo, lo stesso problema si è riproposto sotto altre vesti. La regolamentazione finanziaria assume quindi un ruolo fondamentale in un periodo di innovazione dei mercati.

Se l’importante ruolo delle banche fin qui delineato viene meno, si rischia una contrazione del credito: cioè, il risparmio non viene più incanalato in investimenti. L’analisi dell’importanza di canali collegati al credito nella propagazione delle crisi economiche è stata ampiamente studiata da Ben Bernanke con particolare riferimento alla Grande Depressione degli anni ’30, che dagli Stati Uniti si estese a quasi tutto il mondo. Utilizzando evidenze storiche, Bernanke mostrò gli effetti sull’economia reale delle bank run avvenute durante la Grande Depressione: il fallimento di un gran numero di banche all’inizio degli anni ’30 provocò una contrazione del credito che peggiorò e prolungò la crisi economica. Bernanke individua quindi nella politica monetaria e più nello specifico nelle bank run le cause (e non le conseguenze) principali della depressione. Un’idea simile era già stata avanzata nel 1963 da Friedman e Schwartz, che individuarono uno dei motivi della Grande Depressione nella contrazione dell’offerta di moneta, e non nell’insufficiente stimolo fiscale alla domanda aggregata, come sostenuto dai keynesiani. Inoltre, le relazioni con le banche rotte a causa della crisi erano difficili da sostituire e questo comportò un prolungarsi della difficoltà di accesso al credito per le famiglie e le piccole imprese.

In conclusione, i premi Nobel per l’economia di quest’anno hanno avuto un ruolo chiave nell’elaborare modelli e mostrare evidenze storiche ed empiriche circa l’importanza delle banche e la necessità di salvaguardare l’intermediazione finanziaria durante i periodi di recessione. In parte, la risposta alla recessione del 2008-09 ha seguito questi principi, ma le sfide che abbiamo davanti in un periodo complesso e incerto come quello attuale testimoniano ancora una volta l’importanza dei contributi premiati.

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