Articolo pubblicato per Il Foglio (edizione del 24/11/2022)
Sintesi
- Il ministero dell’Istruzione diventa Ministero dell’Istruzione e del Merito. Cos’è il merito e che relazione c’è fra efficienza ed equità?
- Valorizzare il merito significa valorizzare le capacità di ciascuno diminuendo le disuguaglianze di partenza. I dati mostrano che questo manca in Italia.
- Bisogna quindi migliorare l’orientamento scolastico e lavorativo e assicurare più risorse ai capaci e meritevoli. Questo è possibile solo se si identifica e valorizza il merito.
- Prima di identificare il merito bisogna farlo emergere con le scuole elementari e medie. Proponiamo di posticipare di due anni la scelta delle superiori per focalizzare poi maggiormente questi percorsi e permettere di valorizzare meglio il merito.
- Servono quindi risorse ma la loro allocazione segue criteri che non sono scontati e dipendono da una scelta politica: i fondi devono essere dati alle scuole più in difficoltà o alle scuole migliori? in entrambi i casi si può valorizzare il merito, ma con conseguenze radicalmente diverse.
Il Ministero dell’Istruzione diventa Ministero dell’Istruzione e del Merito. Ma cos’è il merito? Il risultato ottenuto, gli esiti una volta appianate le diversità di partenza o una combinazione dei due? Valorizzare il merito deve significare in primo luogo valorizzare le capacità di ciascuno, differenziando i percorsi di studio per permettere di investire sui propri punti di forza e diminuendo le disuguaglianze di partenza. Solo così si possono premiare i capaci e meritevoli. Crediamo che ciò manchi in Italia. Inoltre, il merito va visto come incentivo: promuoverlo incentiva lo sforzo individuale, garantendo a livello sociale un livello di istruzione più elevato.
La scuola italiana non ci riesce. La quota di laureati tra i 25 e i 34 anni è cresciuta negli ultimi anni meno che in altri paesi Ocse (è al 28%), con grandi differenze regionali. Inoltre, circa un italiano su tre fra i 20 e i 24 anni non studia e non lavora, record negativo nell’Ue. Infine, le facoltà artistiche e umanistiche sono fra le più scelte nonostante una ben più alta richiesta di profili con competenze ICT. Riteniamo che questo dipenda anche da un orientamento male indirizzato.
Gli studenti scelgono un indirizzo di studio dopo la terza media, ma partendo da contesti diversi. Da un lato, i genitori iscrivono i figli in percorsi simili a quelli da loro frequentati, su cui hanno maggiori informazioni (l’orientamento non sempre funziona). Dall’altro, crescere in famiglie con ristrettezze economiche limita la capacità di investire nelle proprie capacità. E il divario si è allargato con la pandemia.
Il liceo comporta ulteriori costi per l’università e il posticipo del primo stipendio. Lo stipendio più alto potrebbe in prospettiva compensare il costo di studiare, ma bisogna poterselo permettere. Una famiglia priva di mezzi difficilmente riesce a ricorrere al finanziamento privato per pagare gli studi, a causa dell’assenza di garanzie e del rischio elevato. Ecco che la scelta di conseguire un titolo di studio è determinata da vincoli economici familiari: chi ha pieno accesso all’istruzione non è necessariamente il più competente ma, spesso, chi ha i mezzi.
Per ovviare a queste disuguaglianze, è possibile pensare a un intervento pubblico che valorizzi il merito come suggerito prima. Far risaltare i più capaci rende più efficace l’investimento in istruzione e permette loro di avanzare negli studi terziari. Si può quindi immaginare un nuovo approccio alla scuola dell’obbligo, volto a far emergere le capacità di ognuno. Come distinguere poi i meritevoli? Un’opzione è l’introduzione di test d’ingresso per selezionare gli studenti nelle scuole superiori. Permetterebbe ai ragazzi capaci di frequentare le scuole migliori, ma potrebbe introdurre nuove polarizzazioni e favorire chi vive nelle aree più ricche delle città, dove queste scuole spesso si trovano.
Riteniamo che fino al secondo anno di superiori si debbano offrire spazi e occasioni per ridurre il legame tra condizione socioeconomica e andamento scolastico. Crediamo nella necessità di un detracking della scuola superiore italiana, cioè un posticipo di due anni della scelta del percorso. Nei primi due anni di scuola superiore si dovrebbe dare l’opportunità di cimentarsi con flessibilità in materie diverse, per poi scegliere al meglio il proprio indirizzo. È dopo questa scelta consapevole che si può far risaltare in modo ancora più efficiente il merito.
È quindi necessario investire in scuole di qualità. Con il Pnrr si è deciso di ridurre le disparità regionali, ma ci sono altre possibilità. Il nuovo governo potrà decidere di investire nelle scuole che presentano carenze, perseguendo un criterio di equità che dovrebbe far emergere un maggior numero di studenti potenzialmente capaci. In alternativa, si potrebbero concentrare le risorse in scuole “migliori”, con finanziamenti a progettualità all’avanguardia, generando economie di scala ed esternalità da aggregazione. In ogni caso, uno dei due criteri risulterà prevalente: qual è la posizione del governo?