Articolo pubblicato su Welforum

A cento anni dalla riforma Gentile, la scuola italiana risente ancora della sua impronta, con effetti sulla disuguaglianza educativa legati a organizzazione per indirizzi, carriera dei docenti e spazi scolastici.


Sintesi

  • La scelta della scuola superiore dipende spesso dal contesto sociale e familiare, influenzando i percorsi futuri degli studenti.
  • Gli stipendi bassi e la scarsa progressione salariale incidono sulla motivazione dei docenti.
  • L’uso degli spazi scolastici e le metodologie innovative variano molto tra regioni e indirizzi.
  • Serve creare condizioni che permettano a ogni studente di sviluppare il proprio potenziale, oltre a offrire pari opportunità.

Nel 1923 entrò in vigore la riforma dell’istruzione passata alla storia come “riforma Gentile”, dal nome del filosofo Giovanni Gentile, Ministro della Pubblica Istruzione nell’allora governo Mussolini. Il suo centenario (+1) presenta oggi un’occasione per pensare a come la scuola di oggi ne porti l’impronta. 

Il think-tank Tortuga ha studiato come le disuguaglianze insite nel sistema scolastico italiano rallentano la mobilità sociale in un recente policy brief realizzato in collaborazione con Poliferie, associazione volta a promuovere la mobilità sociale a partire dalle scuole superiori di periferia. Ragionare sulle radici delle disuguaglianze di oggi può aiutarci a immaginare la scuola di domani nel rispetto del principio egalitario della Costituzione, al contrario della visione antidemocratica dell’istruzione superiore ereditata dalla riforma gentiliana. Tre sono le direttrici delle disuguaglianze analizzate nel policy brief, che riflette le discussioni di un tavolo di lavoro che ha coinvolto venti esperti ed esperte di scuola, da dirigenti scolastiche a consulenti di politiche pubbliche: 1) la stratificazione della scuola superiore, 2) gli stipendi degli insegnanti, 3) gli spazi nella scuola. 

La stratificazione della scuola superiore  

La stratificazione della scuola superiore per indirizzi rappresenta la prima direttrice di (dis)uguaglianza: sebbene tutti gli studenti abbiano facoltà di scelta, questa è nei fatti largamente determinata dalla provenienza socioeconomica dei genitori. L’analisi dei dati di Alma Diploma mostra, infatti, che al liceo classico due terzi degli studenti hanno genitori laureati e meno del 10% proviene da famiglie in cui i genitori non hanno il diploma. Nei professionali per l’industria e l’artigianato, invece, l’11% degli studenti ha genitori laureati, il 39% genitori diplomati, e la metà genitori senza diploma. 

Sebbene non si possano trarre conclusioni sui legami causali, questi numeri suggeriscono una chiara correlazione tra il livello di istruzione dei genitori e i percorsi scolastici dei figli. Allo stesso modo, vi è un legame tra la cittadinanza (italiana o non) dei genitori e l’indirizzo delle scuole superiori scelto dai figli: uno studio di Michela Carlana, professoressa di Politiche Pubbliche all’Università di Harvard, e dei suoi coautori mostra che, a parità di abilità e altre caratteristiche, gli alunni di cittadinanza non italiana tendono a scegliere un istituto tecnico o professionale con una probabilità maggiore rispetto ai propri compagni italiani. Consideriamo, ad esempio, gli studenti che nei test INVALSI riportano risultati nel quintile più alto, cioè quelli che si trovano nel 20% dei punteggi migliori. In questo gruppo, oltre il 95% degli alunni di cittadinanza italiana si iscrive a un liceo, mentre meno dell’80% degli studenti di cittadinanza non italiana fa lo stesso: una differenza di 16 punti percentuali. 

La scelta della scuola superiore ha anche ricadute sulle prospettive dopo il diploma: analizzando i dati di Alma Laurea, emerge che, ad esempio, i licei sono sovrarappresentati tra gli iscritti all’università: ogni anno frequentano il liceo scientifico in media il 26% degli studenti mentre il 39% dei laureati proviene dal liceo scientifico. Al contrario, meno del 3% dei laureati proviene dagli istituti professionali, nonostante questi rappresentino il 12% degli iscritti alle superiori. Questi dati suggeriscono che la scelta, imposta dalla stratificazione dei percorsi di studio e spesso dettata dal proprio contesto di provenienza, sia difficilmente reversibile: le disuguaglianze iniziali, anzi, persistono nel tempo, allargando la forbice in termini di iscrizioni all’università, prima, e accesso al mondo del lavoro, poi. 

Gli stipendi degli insegnanti 

L’analisi congiunta dei dati del Ministero dell’Istruzione e dell’Ocse evidenzia anche problematiche significative riguardo agli stipendi degli insegnanti in Italia, che hanno effetti sulla qualità dell’insegnamento stesso e, di conseguenza, sulle disuguaglianze. La differenza tra le retribuzioni dei docenti e quelle degli altri laureati è più alta e negativa rispetto agli altri paesi Ocse. Considerando il rapporto tra salario degli insegnanti e salario percepito da un altro laureato nello stesso ambito, questo ha valore 1 se i salari sono uguali. Più è basso il rapporto, più è ampia la differenza tra i due. L’Italia ha il terzo valore più basso tra i paesi Ocse: se il laureato che non insegna guadagna 1000, l’insegnante guadagna 800. Fanno peggio solo gli Stati Uniti e l’Ungheria. 

Segnali negativi arrivano anche dalla progressione salariale degli insegnanti, lasciata agli scatti per anzianità. In Italia, la differenza tra lo stipendio di inizio e fine carriera è meno del 50%: questo significa che, se un insegnante prende 1000 durante il primo anno di insegnamento, dopo oltre 30 anni di carriera prenderà al massimo 1450. Una serie di ricerche in economia dell’educazione, come quelle del premio Nobel Esther Duflo e le sue colleghe, ha mostrato un legame positivo tra gli incentivi, di natura monetaria o con avanzamenti di carriera, e la motivazione dei docenti, con buoni riscontri sugli apprendimenti degli studenti. Applicando le conclusioni al caso della scuola italiana, la situazione salariale rispetto alle altre opportunità nel mercato del lavoro e durante la carriera ha risvolti negativi sulla motivazione dei docenti, specialmente per chi lavora nelle zone più difficili, come quelle più a rischio di dispersione scolastica con conseguente inasprimento delle disuguaglianze preesistenti. 

Gli spazi della scuola 

La terza direttrice investigata nel policy brief riguarda l’uso degli spazi scolastici da due prospettive: come vengono impiegate le aule scolastiche e quali altri spazi del territorio vengono attraversati dagli studenti. Durante le ore di lezione, le aule possono essere organizzate nel tradizionale modo frontale oppure accogliere diversi spazi di apprendimento, con alcuni banchi in cerchio, altri per colonne, e così via. L’utilizzo delle aule riflette in parte l’adozione di metodologie didattiche innovative, quali le classi aperte (coinvolgimento di alunni di diverse classi in attività laboratoriali) o l’apprendimento cooperativo (cooperative learning). Analizzando i dati estrapolati dalla piattaforma Scuola in chiaro, emerge che tutte le province del Centro e Sud Italia hanno scuole superiori che adottano strategie di cooperative learning, mentre l’8% delle province del Nord non ha nessuna scuola che usa questo metodo innovativo. Confrontando gli indirizzi tra loro, questa metodologia risulta meno diffusa nei licei e negli istituti tecnici, mentre è più comune nelle scuole professionali. Il tasso di adozione delle classi aperte presenta un andamento diverso: a fronte di una media nazionale del 37%, è maggiore nelle scuole elementari, soprattutto nel Nord-Ovest e nel Sud. Nelle scuole medie, invece, si osserva una maggiore variazione nell’adozione tra le diverse aree geografiche, con le province del Nord ferme al 30% e quelle del Sud che sfiorano il 45%. La disuguaglianza per area e indirizzo ha effetti sugli apprendimenti, dal momento che adottare metodi alternativi a quello tradizionale consente di conciliare le diverse strategie di cui ogni alunno può avere bisogno per imparare, facilitando l’inclusione. 

Anche il grado di integrazione tra le scuole e le altre realtà territoriali, come evidenziato dai dati delle Camere di Commercio,  è disomogenea. Per misurare questo legame, guardiamo al numero di aziende locali che offre opportunità di Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO) agli studenti delle scuole superiori. Sebbene il PCTO sia strutturato a livello nazionale, la sua applicazione varia tra istituti: gli studenti svolgono le ore previste dal piano impegnati in attività diverse in base alle collaborazioni con altre realtà attivate dalla propria scuola. Considerando le collaborazioni con aziende della regione ogni 100 studenti, gli studenti toscani hanno più frequenti occasioni di interazione, mentre in Abruzzo e Campania gli studenti incontrano maggiori difficoltà nell’accesso a queste opportunità di connessione con il territorio. Se il dialogo tra la scuola e la comunità locale influenza lo sviluppo di abilità trasversali e porta a una maggiore consapevolezza del proprio ruolo nella società, gli studenti in aree meno integrate sono esposti a meno occasioni per sviluppare, ad esempio, capacità di problem solving, lavorare in team o parlare in pubblico, oltre che di creare nuove connessioni nel proprio territorio di origine. 

Queste tre radici delle disuguaglianze scolastiche hanno a loro volta origine nel modo in cui la riforma Gentile ha concepito l’organizzazione per indirizzi, il sistema di reclutamento degli insegnanti centralizzato e un approccio pedagogico che ruota intorno all’aula frontale. A cent’anni di distanza, nell’analizzare come queste scelte permeano ancora la scuola di oggi, il principio guida riprende il concetto di “uguaglianza delle capacità” (equality of capabilities), elaborato in filosofia dell’economia dal premio Nobel per l’economia Amartya Sen e dalla filosofa statunitense Martha Nussbaum. Questo concetto va oltre l’uguaglianza delle opportunità (equality of opportunities) e dei risultati finali (equality of outcomes), concentrandosi sulla necessità di creare le condizioni sociali e materiali necessarie affinché ogni studente possa sviluppare le proprie capacità e realizzare pienamente il proprio potenziale, indipendentemente dal punto di partenza. Per la scuola di domani, non si tratta solo di garantire a tutti le stesse opportunità, ma di sostenere attivamente ogni individuo nel concretizzare il proprio progetto di vita. 

Redazione

Author Redazione

More posts by Redazione