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Nell’ultimo anno le banche centrali, a causa dell’inflazione, sono ricorse a continui rialzi dei tassi di interesse. Ecco cosa vuol dire questo per l’enorme debito pubblico italiano.


Sintesi

  • La Banca Centrale Europea sta alzando i tassi di interesse per contrastare l’inflazione.
  • Le nuove proiezioni della Bce prevedono un’inflazione di fondo al 4,2% nel dicembre 2023 e un’inflazione media del 8,4% nel 2022, del 6,3% nel 2023, del 3,4% nel 2024 e del 2,3% nel 2025.
  • La Bce sta adottando una strategia di lungo termine per riportare l’inflazione all’obiettivo del 2%.
  • L’aumento dei tassi di interesse potrebbe aumentare il costo del debito pubblico italiano, rendendolo difficile da gestire.
  • Le prospettive per il debito pubblico italiano dipendono dalla capacità del paese di attuare riforme strutturali e di crescere economicamente.
  • La situazione del debito pubblico italiano è complessa e dipende da molti fattori, ma l’aumento dei tassi di interesse rappresenta un rischio significativo.

La Banca centrale europea alza ancora una volta i tassi d’interesse per frenare l’inflazione e può darsi che il peggio debba ancora venire. L’Italia deve correre ai ripari, o il costo del debito pubblico salirà al punto da diventare ingestibile.

Da ormai un anno a questa parte, le riunioni delle banche centrali stanno portando, a causa dell’inflazione, a continui rialzi dei tassi di interesse. Ne abbiamo spiegato le ragioni a luglio in questo articolo. Anche a dicembre, la Bce ha optato per un aumento, anche se più contenuto rispetto alla riunione di settembre, portando il tasso di riferimento sui depositi dall’1,5% al 2%.

L’annuncio principale della presidente Christine Lagarde, però, non è stato tanto questo aumento, quanto la strategia che la Banca centrale europea adotterà nel prossimo anno. Durante la riunione sono state illustrate proiezioni sull’inflazione più alte del previsto e la conseguente necessità di un rialzo dei tassi maggiore di quanto finora previsto dal mercato. La Bce prevede infatti un’inflazione di fondo, al netto dei prezzi energetici e alimentari, ancora al 4,2% nel mese di dicembre 2023 e un’inflazione media dell’8,4% nel 2022, del 6,3% nel 2023, del 3,4% nel 2024 e del 2,3% nel 2025. Le nuove proiezioni già tengono conto di una politica monetaria molto più restrittiva di quella a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Tuttavia, la Bce prevede che l’inflazione di fondo sarà ancora più del doppio del suo obiettivo del 2% a un anno da oggi.

Un’inflazione di fondo superiore all’obiettivo di medio termine della banca centrale può essere estremamente dannosa all’istituzione. Il banchiere centrale non riesce a rispettare il suo mandato rischiando di perdere la credibilità, uno strumento fondamentale per l’efficacia della politica monetaria moderna. È infatti la fiducia di settore finanziario, consumatori e imprese l’elemento fondamentale per mantenere la stabilità dei prezzi nel tempo. Senza di essa, infatti, i rialzi o tagli dei tassi, così come le operazioni di mercato aperto (QE o QT) risulterebbero incoerenti e non avrebbero molta importanza, perché i mercati non vi crederebbero.

Nella situazione attuale, la Bce sta adottando un linguaggio estremamente duro e preciso, annunciando una strategia di rialzo dei tassi di lungo periodo. In questo modo, aumenta le possibilità di riportare la situazione sotto controllo, accettando però l’elevato rischio di causare una recessione.

Come si è arrivati a questa situazione?

Come reazione alla pandemia, sia gli Stati Uniti che l’Europa, agevolati da una politica monetaria espansiva e quindi tassi di interesse sul debito molto bassi, hanno concesso stimoli fiscali su larga scala, immettendo denaro nell’economia reale durante i lockdown. Nel 2021, venute meno le restrizioni nella maggior parte dei paesi, la rapida ripartenza di consumi e processi produttivi ha generato notevoli pressioni sui prezzi di materie prime e beni fondamentali al giorno d’oggi, come i microchip.

A tale situazione, in particolare in Europa, si è aggiunto lo shock energetico, esacerbato dalla guerra in Ucraina, a cui i governi hanno risposto con trasferimenti e sussidi per aiutare le famiglie a far fronte all’aumento del costo delle bollette energetiche, stimolando ulteriormente la domanda. Tuttavia, l’aggiustamento dell’offerta non è così rapido e politiche fiscali poco mirate ai più bisognosi possono impedire alla Bce di riportare l’inflazione sotto controllo. La presidente Lagarde ha dichiarato infatti che tali misure “dovrebbero essere temporanee, mirate e personalizzate”, perché “le misure che non rispettano questi principi rischiano di esacerbare le pressioni inflazionistiche”.

Durante tutto il 2022, si è tentato di agire per ridurre l’inflazione e bloccare le aspettative di un futuro rapido aumento dei prezzi. Ma se si guarda al prossimo anno, il quadro è più complicato. Le previsioni di crescita economica vengono corrette al ribasso dalle principali istituzioni mondiali (Fmi, Banca Mondiale) a causa degli alti costi dell’energia e degli effetti ritardati di mesi di aumenti dei tassi della banca centrale. I membri del consiglio direttivo della Bce stanno cercando di calibrare la giusta quantità di stretta monetaria necessaria per ridurre l’inflazione nonostante il rallentamento economico.

L’Europa è in ritardo?

Lo stimolo fiscale statunitense è stato concentrato nel 2020, mentre quello europeo è stato attuato principalmente attraverso i programmi dell’Unione Europea, i quali necessitano di procedure burocratiche più lunghe e complesse che non permettono dunque di immettere tali stimoli nell’immediato, rendendoli perciò distribuiti nel tempo.

Inoltre, mentre il mercato del lavoro statunitense si adegua rapidamente alle fasi di espansione e contrazione del ciclo macroeconomico, il mercato del lavoro europeo è molto più rigido: è necessario quindi un periodo di tempo più lungo prima che la domanda aggregata si rifletta sui salari facendoli aumentare.

Il risultato è stato dunque che l’inflazione di fondo europea ha accumulato un ritardo rispetto a quella statunitense e, in prospettiva, ciò significa che le pressioni inflazionistiche in Europa potrebbero non solo ampliarsi, ma anche persistere molto più a lungo di quanto inizialmente previsto.

Che rischi corre l’Italia?

L’Italia dovrà rinnovare, nel 2023, titoli di Stato per un valore di oltre 450 miliardi di euro, che serviranno a rifinanziare il già enorme stock di debito pubblico esistente, oltre al nuovo deficit aggiuntivo. Con il costo del debito pubblico in aumento, la liquidità proveniente dall’Unione Europea, da ripagare a costi più contenuti, diventa sempre più fondamentale: è quindi essenziale eseguire senza ritardi le riforme del Piano di Ripresa e Resilienza (Pnrr), per sbloccare 19 miliardi di euro di fondi europei in inverno e altri 16 in estate.

Un’altra conseguenza che avrà un forte impatto sulle famiglie italiane sarà l’impopolare decisione di ridurre almeno in parte in parte i sussidi per il caro-energia a partire dal secondo trimestre del 2023, per le stesse ragioni. Nell’area euro, sembra esserci al momento più tolleranza che in passato sui deficit di bilancio, ma con una Bce molto meno tollerante.

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