Report realizzato da Tortuga e promosso dall’On. Lia Quartapelle, con il supporto di CEOforLIFE, SDGs Leaders e HRC.

Il contesto italiano

Bassa natalità e bassa occupazione femminile sono tra le sfide più cruciali per l’Italia nei prossimi anni. Il tasso di fecondità, ossia il numero di figli per donna, oscilla tra 1,3 e 1,4, un valore ben al di sotto del tasso di sostituzione di 2,1, necessario al mantenimento della popolazione.

In termini di occupazione femminile, il divario occupazionale tra uomini e donne si attesta al 16-17%, circa 6-7 punti percentuali inferiore alla media OCSE, e cresce se si prende in considerazione l’occupazione a tempo pieno.

Entrambi i fenomeni sono legati a dinamiche familiari e lavorative caratterizzate da una distribuzione diseguale dei ruoli genitoriali, che generalmente si riflette in un allontanamento prolungato della madre dal lavoro per la cura dei figli, in confronto a un periodo di assenza molto più breve da parte del padre.

A livello nazionale, vi sono principalmente tre tipi di congedi che possono essere presi quando nascono dei figli:

  • Il congedo di maternità, obbligatorio e riservato solo alle madri.
  • Il congedo di paternità, obbligatorio e riservato solo ai padri.
  • Il congedo parentale, facoltativo e riservato a entrambi i genitori, ma utilizzato prevalentemente dalle madri.

Alla base della forte asimmetria nell’utilizzo del congedo parentale vi sono due ragioni principali:

  1. Disparità retributiva: Poiché il congedo parentale non è retribuito al 100%, per una famiglia è economicamente più conveniente che venga preso dal percettore di reddito più basso, generalmente la madre. Questo, sommato a una maternità prolungata, può comportare un’assenza prolungata delle madri dal posto di lavoro, con difficoltà nel rientro post-maternità e nei processi di assunzione.
  2. Norme culturali: In Italia, persiste una forte aspettativa sociale che attribuisce alla donna il ruolo principale nella cura dei figli, mentre all’uomo viene riservata maggiore enfasi sul successo professionale.

Per affrontare queste problematiche, una possibile soluzione è rendere la genitorialità più inclusiva, ad esempio introducendo un congedo di paternità più lungo rispetto ai 10 giorni attualmente previsti dalla legge e potenziando i servizi per l’infanzia a supporto delle famiglie, come gli asili nido.

Il report

In questo report, ci focalizziamo sulla prima parte della soluzione: i congedi di paternità. Il nostro scopo è studiare le conseguenze dell’implementazione a livello aziendale di un congedo di paternità più esteso rispetto a quello previsto dalla normativa nazionale, valutandone l’impatto sia sulle aziende che sui lavoratori.

Metodo

Per studiare l’effetto di un congedo di paternità più lungo, abbiamo condotto uno studio con 24 aziende, delle quali 22 offrono una politica aziendale che prevede un congedo di paternità più esteso rispetto a quello nazionale. La ricerca è stata svolta in due fasi:

  • Interviste con le risorse umane: abbiamo effettuato 24 interviste con i rappresentanti delle risorse umane e/o i responsabili delle politiche aziendali, con l’obiettivo di identificare i dettagli dell’implementazione e raccogliere il punto di vista delle aziende.
  • Questionario per i dipendenti: abbiamo distribuito un questionario a 12 aziende, a cui hanno risposto più di 1600 dipendenti. Lo scopo era di:
    1. Identificare le caratteristiche dei beneficiari della politica aziendale.
    2. Capire le motivazioni alla base dell’utilizzo della politica.
    3. Raccogliere le opinioni sulla politica e i suoi effetti.
    4. Ottenere opinioni su una possibile estensione del congedo di paternità a livello nazionale.

Risultati principali

Caratteristiche della politica aziendale

Dalle interviste con le risorse umane emerge che le politiche sono state introdotte di recente, soprattutto dopo il Covid, e sono facoltative (eccetto in un’azienda dove il congedo è obbligatorio). Le politiche variano in termini di durata (da 1 a 26 settimane aggiuntive rispetto al congedo di paternità nazionale) e modalità di utilizzo (continuativo o frazionato). La soddisfazione è molto positiva sia da parte delle aziende che dei lavoratori.

Caratteristiche dei beneficiari della politica aziendale

Dal questionario emerge un tasso di adesione del 71%, superiore alla media nazionale. L’età risulta essere un fattore determinante:

  • Il 75% dei padri tra 30 e 39 anni aderisce, contro il 65% dei padri tra 40 e 49 anni.
  • Il tasso è più alto tra chi non può lavorare da remoto (80%) rispetto a chi può (68%), e tra chi è meno conforme alle norme di genere tradizionali.
  • Non ci sono differenze significative tra i vari ruoli aziendali.

Motivazioni per l’utilizzo o meno della politica aziendale

Chi utilizza la politica lo fa per:

  • Stare vicino alla propria famiglia (87% dei beneficiari).
  • Essere presente nella vita del figlio/a (81%).

Chi non utilizza tutti i giorni disponibili lo fa per:

  • Pressioni sul lavoro, come l’alto carico di lavoro (45%) o colleghi che non hanno usufruito del congedo (55%).
  • Paura di ripercussioni negative sulla carriera (45%).

Chi non utilizza affatto la politica cita ragioni simili:

  • Paura di un impatto negativo sulla carriera (54%).
  • Colleghi che non hanno usufruito del congedo (52%).

Inoltre, tra i lavoratori di 40-49 anni, il 23% riporta una mancanza di supporto da parte di famiglia o amici. Quasi 1 padre su 4 ha ricevuto pressioni da partner, amici, parenti, colleghi, superiori o dalla società in generale.

Opinioni sulla politica aziendale e i suoi effetti

La ricezione della politica è estremamente positiva:

  • Tutti i beneficiari dichiarano che la riutilizzerebbero, e il 96% di coloro che non l’hanno utilizzata si dichiarano pronti a farlo.
  • 1 dipendente su 3 non accetterebbe di lavorare in un’azienda senza una politica simile, indipendentemente da un aumento salariale.

Inoltre, il congedo ha un effetto positivo sulla ridistribuzione del lavoro domestico (2 padri su 3) e sulle dinamiche familiari:

  • 96% dei padri beneficiari dichiara un legame più stretto con i figli.
  • 95% nota una maggiore serenità della partner.
  • 54% ritiene che il congedo renda più fattibile avere altri figli in futuro.

Chi teme un impatto negativo sulla carriera spesso ne sovrastima gli effetti, poiché il 70% dei padri beneficiari non ha riscontrato conseguenze negative.

Aree di miglioramento includono:

  • Maggiore lunghezza del congedo (28%).
  • Maggiore flessibilità (38%).
  • L’obbligatorietà del congedo.

Opinioni su una possibile estensione del congedo di paternità a livello nazionale

Il 96% dei partecipanti concorda con l’estensione del congedo a livello nazionale, e il 54% ritiene che dovrebbe essere obbligatorio, percentuale che aumenta tra i più giovani.

Sulla durata del congedo:

  • Tutti concordano che il congedo debba durare almeno due settimane (lo status quo).
  • Il 95% ritiene che debba durare almeno un mese.
  • Oltre la metà suggerisce una durata trimestrale.
  • 1 partecipante su 5, soprattutto tra le donne, ritiene che i padri debbano trascorrere almeno 6 mesi a casa con il figlio nel primo anno di vita.

Proposta di politica nazionale

Secondo Tortuga, una riforma nazionale dovrebbe migliorare il congedo di paternità esistente, mantenendo la retribuzione al 100% e l’obbligatorietà, ma estendendone la durata. Le aziende intervistate offrono in media un congedo di 8,5 settimane, mentre oltre la metà dei partecipanti ritiene ideale un periodo di almeno 3 mesi.

Un’estensione a 3 mesi, come proposto dal disegno di legge firmato dall’On. Quartapelle, rappresenterebbe un passo avanti. La proposta dovrebbe includere anche genitori non biologici e coppie omosessuali, rendendo il congedo un’opzione per “secondi caregiver”.

Infine, limitare l’uso del congedo al primo anno di vita del bambino permetterebbe ai padri di essere presenti senza sovrapporsi con il congedo di maternità, contribuendo anche a contenere i costi legati all’assistenza all’infanzia.

Cliccando sul tasto qui sotto è possibile scaricare il report completo.

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