Questo report fornisce un’analisi dettagliata sulla distribuzione, copertura e funzionamento dei Centri Antiviolenza (CAV) in Italia, contestualizzandoli nel panorama europeo e mondiale. Attraverso l’utilizzo di dati aggiornati vengono evidenziati i punti di forza e le criticità del sistema italiano, con raccomandazioni per migliorare accessibilità, qualità e sostenibilità del servizio.
Contesto
La violenza di genere è un problema strutturale che richiede soluzioni sistemiche. Lo scorso anno in Italia è stato denunciato un reato attinente alla sfera della violenza di genere ogni 12 minuti. Il costo della violenza si quantifica innanzitutto in termini di vite umane (in Italia avviene un femminicidio ogni 3 giorni) ed in termini di benessere psico-fisico delle donne. Inoltre, le donne vittime di violenza guadagnano in media il 16% in meno delle loro coetanee. I Centri Antiviolenza sono pilastri fondamentali nella rete di supporto per le donne vittime di violenza, fornendo assistenza legale, psicologica ed emergenziale. Seppur non l’unico, costituiscono un tassello importante nel percorso di fuoriuscita dalla violenza, e non solo un rifugio all’acuirsi degli episodi di violenza. Fatti di cronaca hanno acceso il dibattito e portato all’attenzione nazionale la questione, mobilitando parte della popolazione e spingendo l’apertura di 13 nuovi centri nello scorso anno e di 150 nuovi centri negli scorsi 7 anni , principalmente grazie ad associazioni statuoriamente femministe. Al clamore per l’omicidio di Giulia Cecchetin, datato novembre dello scorso anno, la politica ha risposto in maniera scomposta ed emergenziale, e gli stanziamenti per corsi di educazione sessuale ed affetiva sono stati inefficaci e per la maggior non spesi. Nonostante il generale miglioramento, i livelli minimi di servizio non sono garantiti nel 77% delle province italiane e persistono disuguaglianze significative nella distribuzione territoriale dei CAV e nella loro accessibilità, soprattutto imputabili alla scarsa programmazione e coordinazione tra stato ed enti locali. I centri antiviolenza non costituiscono la soluzione unica al pervasivo fenomeno della violenza, e ci auguramo che una presa di coscienza collettiva possa seguire dall’impegno di queste piccole realtà e dal supporto delle istituzioni.
Obiettivi
Questo report mira a dare una visione d’insieme sulla situazione dei centri antiviolenza in Italia, su vari fronti in modo tale da avere una fotografia accurata della condizione attuale. Con uno sguardo ad altri paesi del mondo, spieghiamo quali siano i livelli di servizio minimi sanciti dalle convenzioni internazionali (Convenzione di Istanbul del 2011) e a che punto sia il loro adempimento in Italia, con uno sguardo ad altri paesi per permettere comparazioni. Ci concentriamo poi nell’analisi della copertura dei CAV rispetto alla popolazione femminile e ai bisogni emergenti. Infine, tentiamo di contestualizzare il sistema CAV rispetto ai fattori di rischio riconosciuti dalla letteratura scientifica e dettati dalle caratteristiche dell’ambiente economico e culturale. L’obiettivo finale è quello di evidenziare lacune e proporre soluzioni per un miglioramento strutturale, continuativo e diversificato a livello territoriale.
Risultati Principali:
Situazione legislativa e Confronto con il panorama europeo
Il documento più importante che regola l’azione europea in fatto di lotta alla violenza è la Convenzione di Istanbul del 2011. Dal 2013, anno della ratifica, l’Italia mostra un miglioramento nella sua implementazione, ma rimane indietro rispetto a molti Paesi europei in termini di copertura territoriale e numero di centri per abitante.
Distribuzione geografica e accessibilità
Attualmente, in Italia ci sono 404 Centri Antiviolenza, in crescita rispetto agli anni precedenti. Tuttavia, rimangono significative disparità regionali. Solo il 23% delle province raggiunge gli standard minimi della Convenzione di Istanbul, che prevede un centro ogni 50.000 donne. Per raggiungere i livelli minimi il 77% delle province italiane deve dotarsi di almeno un CAV aggiuntivo, con le città metropolitane di Roma, Torino e Milano che richiedono rispettivamente, 10, 11 e 12 nuove strutture. Sono però le aree rurali e le isole che risultano particolarmente svantaggiate ion termini di distanza geografica dal CAV più vicino, con meno del 16% dei comuni coperti entro 10 km. Nelle regioni meridionali e insulari anche la percentuale di donne servite è nettamente inferiore. 5 milioni e 460 mila donne tra i 14 ed i 75 anni vivono in un comune che non dispone di un CAV entro 10km.
Orari di apertura e qualità del servizio
I CAV sono aperti mediamente 5 ore al giorno nei giorni feriali, con circa il 70% attivo nei fine settimana. Tuttavia, l’accesso continuo e orari estesi rimangono limitati, creando barriere per molte donne con vincoli lavorativi o familiari. La qualità del servizio è influenzata da risorse insufficienti e dalla dipendenza dal volontariato, rendendo necessaria una maggiore standardizzazione dei protocolli e un incremento delle risorse.
Indici di rischio e correlazioni
La letteratura individua nella disuguaglianza economica e nella persistenza di norme culturali dei fattori di rischio associati con la violenza di genere. Riportiamo in seguito dei dati emersi d’interesse:
- La media provinciale di famiglie in cui l’unico percettore di reddito è l’uomo è del 30%. L’inattività femminile media (la media percentuale di donne che non lavora e non cerca lavoro) è il 25%.
- Quasi il 55% degli intervistati al questionario ISTAT sulla violenza di genere è almeno parzialmente d’accordo con uno stereotipo sulla violenza di genere. La percentuale scende considerevolmente per le giovani donne dai 18 ai 29 anni (41%) e di poco per i giovani uomini (52%).
Le media nazionale nascondono divari geografici tipici tra Centro Nord e Sud ma anche tendenze inedite riguardo la sensibilità culturale sul tema. A conferma di ciò che sostengono gli studi in merito, abbiamo rilevato che a più intense disuguaglianze economiche corrispondano più denunce per reati associati alla violenza di genere.
Raccomandazioni
Per affrontare le criticità emerse, il report propone una serie di azioni mirate. È fondamentale agire su tre livelli: potenziamento della rete dei CAV, miglioramento della qualità del servizio e prevenzione della violenza di genere. Ci auspichiamo una espansione della rete dei CAV aprendo almeno 220 nuovi centri nelle aree più carenti, con priorità alle regioni meridionali e insulari. Supportiamo inoltre l’introduzione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) per rendere strutturale e integrato in diritto nazionale il supporto all’operato dei CAV da parte dello stato, mantenendo centrale l’operato delle ONG femminili statutariamente impegnate contro la violenza di genere. La sostenibilità finanziaria dei CAV è un altro punto centrale, ed incrementare i fondi pubblici stanziati ne assicurerebbe la stabilità operativa e una migliore formazione del personale, entrambe troppo dipendente dall’impegno di operatrici e volontarie. Infine, ribadiamo la centralità della sensibilizzazione e prevenzione. La promozione di programmi educativi per contrastare norme culturali discriminatorie e prevenire la violenza di genere alla radice è la strategia per un effetto di lungo corso. Il report evidenzia infatti che i Centri Antiviolenza non possono essere considerati una soluzione isolata, ma parte di un sistema integrato di supporto e prevenzione. Rafforzare la rete dei CAV significa non solo aumentare l’accessibilità e la qualità dei servizi, ma anche contribuire a costruire una società più equa e inclusiva, in cui ogni donna possa sentirsi protetta e valorizzata.
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