Articolo scritto per l’Huffingtonpost.it
È notizia di questi giorni che le organizzazioni dei pastori sardi stanno tornando a considerare le manifestazioni in piazza per contestare il mancato rispetto delle promesse che il governo aveva fatto alcuni mesi fa. In loro aiuto potrebbe arrivare un nuovo disegno di legge, in discussione in Parlamento.
A fine giugno, infatti, la Camera dei deputati – senza grandi clamori – ha approvato quasi all’unanimità in prima lettura il disegno di legge 1549-A, che vieta alle imprese della grande distribuzione organizzata (Gdo) di acquistare prodotti alimentari tramite il meccanismo d’asta. Questo provvedimento risponde alle richieste di onlus e consorzi agroalimentari di riconoscere la natura dannosa della pratica e va ad ampliare il quadro legislativo per la limitazione delle pratiche sleali attuate dalla grande distribuzione nei confronti dei produttori, un tema affrontato anche dal Parlamento europeo con una direttiva dello scorso aprile.
Le aste attuate dalla grande distribuzione hanno attirato l’attenzione pubblica a seguito del caso della commessa di 20 milioni di bottiglie di passata di pomodoro da 700 grammi acquistata da un’importante catena europea al prezzo di 31,5 centesimi a bottiglia, giudicato scandalosamente basso e assegnato – appunto – tramite un meccanismo d’asta. Un caso esploso attorno al già delicato tema dello scarso potere contrattuale dei produttori agricoli nei confronti dei distributori di beni alimentari, che abbiamo imparato a conoscere anche per via delle proteste dei pastori sardi dei mesi scorsi.
Il meccanismo delle aste sotto accusa è relativamente semplice: una volta specificato il tipo di prodotto da acquistare, tutti i fornitori interessati al contratto vengono invitati a dichiarare il prezzo a cui sarebbero disposti a vendere il prodotto. Le offerte si presentano online, senza sapere il numero e l’identità dei fornitori concorrenti. Una volta ricevute tutte le proposte, si prende in considerazione il prezzo più basso. Perciò il fornitore che offre il prezzo più basso si aggiudica il contratto di fornitura dei prodotti secondo un meccanismo che viene chiamato asta inversa al doppio ribasso.
L’asta origine di tutti i mali?
Una prima differenza tra le normali aste e il meccanismo utilizzato nel caso in questione, e ora oggetto del disegno di legge, è che quest’ultimo prevede un’asta inversa, come in passato accadeva per l’assegnazione di un appalto dal settore pubblico.
Nelle aste classiche (per esempio per acquistare un’abitazione) compra chi offre il prezzo più alto perché in genere si tratta della persona che valuta di più il bene in vendita. Tutti vogliono il prodotto, ma lo ottiene chi lo desidera – e quindi lo valuta – più di altri. Gli appalti invece erano vinti da chi offriva il prezzo più basso, con la logica implicita che chi ci riusciva era il produttore più efficiente perché in grado di fornire il prodotto o servizio al prezzo minore. Ma la situazione non è speculare come sembra.
La maledizione del vincitore
Tuttavia, in molti casi il valore (o costo) dell’oggetto da fornire è molto simile per tutti i fornitori. Le offerte diverse non sono quindi dovute a differenze di efficienza ma a stime diverse su quanto costerà produrre il bene richiesto. Di conseguenza spesso succede che il reale costo del prodotto sia intorno al valore medio delle offerte, mentre il minimo prezzo offerto è in realtà quello che si allontana di più.
Questo fenomeno, denominato in letteratura “maledizione del vincitore”, è ben conosciuto dalla pubblica amministrazione che più di una volta si è trovata ad assegnare appalti per prezzi stracciati a imprese che, avendo totalmente sbagliato i calcoli, fornivano prodotti di pessima qualità o addirittura non erano in grado di concludere i lavori. Il costo del prezzo “sbagliato” (nel senso di lontano dal costo comune) in questo caso ricade sul committente e sul fornitore, e per questo gli appalti non sono più assegnati esclusivamente sul prezzo.
La maledizione degli agricoltori
La grande distribuzione, i fornitori industriali e i piccoli agricoltori giocano un gioco leggermente diverso ma altrettanto pericoloso. Anche in questo caso è probabile che il costo di una bottiglia di passata di pomodoro sia, se non uguale, molto simile per tutti i fornitori industriali e che quindi la variabilità delle offerte non derivi da differenze di efficienza dei fornitori. In questo caso però la variabilità delle offerte non deriva nemmeno dall’incapacità di stimare il costo, come visto prima, ma nel migliore dei casi dall’abilità del fornitore di estrarre guadagno dai piccoli agricoltori senza vero potere contrattuale.
In un mercato verticale dove gli intermediari hanno potere contrattuale rispetto ai piccolissimi agricoltori, ma poco rispetto ai grossi dettaglianti un meccanismo che perfeziona la competizione ricade sulle spalle degli attori senza potere. Nel peggiore dei casi invece i prezzi bassi sono ottenuti tramite pratiche di mercato non sane come prezzi predatori (vendita sottocosto, sperando nell’eliminazione dei concorrenti e nel guadagno successivo) o direttamente illegali come il caporalato.
In conclusione stimare le dimensioni del fenomeno delle aste è difficile, vista anche la scarsa trasparenza da parte della Gdonel fornire informazioni. Il meccanismo d’asta non è da demonizzare in quanto tale, ma è bene riconoscerne gli effetti dannosi nei mercati in cui esistono produttori piccoli, frammentati e senza potere contrattuale. In questi, un sistema di assegnazione delle commesse tramite classica contrattazione risulterebbe più equo.