Articolo pubblicato su Business Insider
Esattamente cinquant’anni fa l’uomo metteva per la prima volta piede sul suolo lunare, coronando una delle più grandi imprese affrontate da uno stato nazionale all’insegna della ricerca e dello sviluppo scientifico. Dopo mezzo secolo da quella prima conquista, chi sono e dove si stanno dirigendo i grandi protagonisti della scena spaziale internazionale?
Come già accennato in un precedente articolo pubblicato su Business Insider, quando si analizza l’ammontare di spesa pubblica destinata alle attività spaziali a livello mondiale, gli Stati Uniti godono di un primato indiscusso (con circa $36 miliardi di spesa nel 2016). Seguono, con un certo distacco, Cina ($5 miliardi) e Russia (3 miliardi).
Tutte cifre che, a detta della banca di investimento Merrill Lynch, sembrano destinate a salire globalmente di circa il 30% in 10 anni. Sebbene ad oggi la spesa pubblica costituisca solo circa il 16% del fatturato globale nel settore della Space Economy (circa $385 miliardi nel 2017), si tratta comunque di una fetta rilevante degli investimenti, volta ad attuare differenti strategie politiche ed economiche.
Cosa stanno facendo i principali player pubblici al mondo? Dopo lo sbarco sulla Luna di 50 anni fa, le agenzie spaziali si organizzarono in grandi partenariati e progetti scientifici all’insegna della cooperazione internazionale. Oggi, le strategie sembrano mutate e la corsa allo spazio sembra ripartita.
Gli Stati Uniti
Gli Stati Uniti sono stati tra i primi a comprendere l’importanza del coinvolgimento del settore privato nelle attività spaziali. Un punto di svolta è stato il piano strategico lanciato da Obama nel 2010, che ha puntato sulla competitività, sulla creazione di nuovi mercati e sulla promozione del commercio spaziale internazionale. Oggi però il vento sta cambiando: il presidente Trump ha deciso di modificare parzialmente la rotta. A cavallo fra il 2018 e il 2019, infatti, la presidenza statunitense ha promulgato quattro Space Policy directives e ha annunciato un nuovo programma strategico nazionale ad oggi ancora in fase di stesura.
Per quanto la seconda direttiva dell’attuale amministrazione sembri rafforzare il piano strategico del 2010, puntando a facilitare (tramite deregolamentazione) il coinvolgimento del settore privato nella Space Economy, le restanti direttive hanno obiettivi differenti. La prima si ripropone di rafforzare la presenza americana nello spazio cosmico, con la volontà di riprendere i lanci di missioni spaziali verso la Luna e Marte, a scopo sia esplorativo che di sfruttamento delle risorse. Risale, infatti, a giugno di quest’anno la presentazione della missione spaziale Artemis da parte della Nasa: il suo scopo sarà riportare l’uomo (compresa almeno un’astronauta, da cui il nome della missione) sulla crosta lunare per la prima volta dopo le missioni Apollo, entro il 2024. Un obiettivo importante, che spiega l’aumento di 1,6 miliardi di dollari del budget della Nasa per il 2020.
Il costo d’attuazione delle restanti direttive, tuttavia, non pare essere da meno.
La terza, infatti, intende regolamentare in modo ancora più stringente il traffico spaziale internazionale e ricorrerà all’ausilio di tecnologie satellitari più potenti.
La quarta invece – forse quella più distante dagli intenti pacifici del piano Obama – è stata promulgata allo scopo di fondare un sesto corpo armato spaziale americano. Una space force che assorbirà ben 72 milioni di dollari dedicati alla difesa statunitense per il 2020 e che avrà lo scopo di difendere gli interessi degli Stati Uniti d’America nello spazio. Interessi, a detta di Donald Trump, oggi minacciati da avversari stranieri, pronti a mettere in discussione il primato militare e spaziale.
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La Cina
Ma chi sono questi avversari? Guardiamo a Oriente. Ormai seconda potenza mondiale, la Cina ha praticamente raddoppiato la propria spesa pubblica in ambito spaziale dal 2014 al 2016. Non a caso, il presidente Xi Jinping sta puntando molto sull’innovazione in campo aereo-spaziale per raggiungere gli obiettivi del suo piano nazionale di ringiovanimento, alias China Dream.
Non stupisce quindi che uno dei settori in cui il partito comunista sta investendo maggiormente è lo space mining. Ciò che sembrava pura fantascienza fino a qualche tempo fa pare ormai diventato realtà, potenzialmente anche molto lucrativa. Basti pensare che un asteroide di circa 200 metri in lunghezza potrebbe contenere al suo interno un concentrato di platino e altri materiali per un valore stimato fino ai $30 miliardi. L’estrazione di materiali pregiati potrebbe non applicarsi solo agli asteroidi (il cui processo di estrazione di materiali risulta ancora estremamente complesso e costoso), ma anche alla Luna, che infatti contiene preziosi materiali come torio, magnesio, platino, titanio, silicio, alluminio e ferro. A fronte di un esaurimento sempre più consistente dei giacimenti terrestri, non è un caso quindi che il rover cinese Chang’e-4, atterrato sul lato oscuro della Luna nel gennaio di quest’anno, sia dotato di un radar in grado di identificare risorse minerarie a grandi profondità. In più, bisogna anche considerare l’importanza strategica del nostro satellite nell’ottica della convenienza economica (per adesso ancora del tutto teorica) di lanci di missioni spaziali alla volta di Marte dalla sua superficie, grazie ad una forza gravitazionale minore. Tenendo conto che la Cina ha in programma altri 4 lanci di rover, tra cui l’ultimo (Chang’e 8) è volto a testare la fattibilità dell’utilizzo di stampanti 3D per la costruzione di una base scientifica sulla luna, il piano spaziale espansionistico cinese appare chiaro.
Non stupisce quindi il rinnovato interesse statunitense nei confronti della Luna e di Marte. Proprio nel discorso in occasione delle celebrazioni del 4 di Luglio, Trump ha infatti dichiarato di voler a breve piantare una bandierina a stelle e strisce sul suolo marziano. Il rischio è, infatti, che la prima grande potenza che riesca effettivamente a colonizzare i corpi celesti possa godere di grandi vantaggi economici, escludendo, o perlomeno limitando, l’accesso a potenze rivali.
E l’Europa?
Anche nel continente europeo, le attività spaziali e le loro applicazioni nel contesto di vita quotidiana stanno acquisendo un ruolo sempre più centrale nella crescita della società. Ad oggi il settore spaziale in Europa impiega più di 230 mila persone, e il suo valore si aggira intorno ai 60 miliardi di euro (2017). Per quanto con una proposta di budget totale di €16 miliardi per il periodo 2021-2027 la spesa allocata dalla Commissione europea in ambito aereo-spaziale sia comparabile con quella di Cina e Russia, gli obiettivi appaiono in parte differenti.
In modo forse ancora più coraggioso del programma spaziale di Obama, la Commissione ha identificato i due programmi di navigazione satellitare europei Galileo e Egnos come principali progetti beneficiari dei fondi. L’obiettivo è migliorare considerevolmente la precisione del segnale utilizzato per la geo-localizzazione (da 1m a circa 20cm), abilitando e promuovendo lo sviluppo di interconnessioni fra tecnologie (smartphones, macchine, droni) secondo la logica dell’Internet of things.
Altri 5 miliardi di euro verranno dedicati al programma Copernicus, per l’osservazione e il monitoraggio della Terra. Una scelta volta a mantenere la posizione di leadership dell’Ue nel monitoraggio ambientale e nella lotta al cambiamento climatico. Tuttavia, Copernicus ha anche applicazioni nel settore della sicurezza. Permette, infatti, un monitoraggio estremamente preciso dei confini territoriali e marittimi (ad esempio, aiutando nell’identificazione di piccole imbarcazioni nella lotta al traffico illegale di esseri umani o sostanze stupefacenti). A corredo, le informazioni raccolte verranno convogliate nella piattaforma Dias a totale beneficio dei privati.
Infine, i restanti 500 milioni di euro verranno destinati al settore della sicurezza in ambito spaziale, per i due programmi Ssa e GovSatCom. In particolare, i fondi dedicati al primo avranno l’obiettivo di sviluppare ulteriormente la sorveglianza e il tracking di oggetti in orbita. Un investimento in linea anche con l’attuale interesse europeo per lo sviluppo di componenti di trasporto spaziale riutilizzabili, capaci di ridurre notevolmente i costi fissi di varie applicazioni della space economy. In parallelo, la nuova iniziativa GovSatCom ha invece l’obiettivo di fornire agli stati membri un sistema di comunicazione satellitare governativa affidabile e sicura, in supporto alla protezione dei loro confini territoriali, alle comunicazioni diplomatiche e agli interventi di protezione civile ed umanitaria.
Sembra quindi che, ad oggi, l’ecosistema tecnologico industriale e scientifico protetto dall’Unione Europea favorisca lo sviluppo di missioni spaziali ad alto contenuto scientifico, con un focus sul monitoraggio interno (terrestre) piuttosto che uno slancio verso l’esterno (spazio oltre l’atmosfera). Una scelta differente rispetto agli Stati Uniti e alla Cina, che anche grazie alle maggiori capacità di spesa sembrano più indirizzate a lanciare la nuova corsa allo spazio. Eppure, il portafoglio (pubblico) e la prudenza consiglierebbero di pensarci due volte prima di lanciare sfide mondiali, e invece rilanciare la cooperazione portata avanti negli ultimi decenni.