Sono da poco disponibili i dati per il 2018 del censimento permanente delle imprese condotto dall’Istat. Dati importanti, perché ci permettono di avere un’istantanea dell’andamento di una popolazione di imprese che, sebbene costituisca solo il 24% del totale, impiega il 91,3% dei dipendenti e produce l’84,4% del valore aggiunto nazionale.
Sebbene il numero totale degli addetti dal 2011 al 2018 sia lievemente cresciuto (da 12.522.000 a 12.680.000), l’andamento è differente in base alla grandezza delle imprese. Infatti, nelle imprese che occupano tra 3 e 9 addetti gli addetti sono diminuiti di 80 mila unità, mentre in quelle che ne occupano almeno 500 si è registrato un aumento di 190 mila unità. Questi numeri andrebbero accolti positivamente perchè l’eccessivo nanismo delle imprese italiane è associata a minore produttività, innovatività e salari inferiori rispetto alle loro rivali più grandi. Servirebbero comunque ulteriori dati sui singoli flussi per capire se vi sia stata effettivamente una transizione tra le due.
Guardando ai settori produttivi, scendono gli impiegati nelle costruzioni (l’8,9% nel 2011, oggi 6,8%). Crescono invece i servizi, che oggi impiegano il 64% degli addetti rispetto al 59,9% di 9 anni fa. Il calo degli addetti nel settore delle costruzioni, avvenuto oltre che in termini relativi anche in termini assoluti, dovrebbe preoccupare in quanto segnale di come la nostra economia sia ancora in una fase stagnante e non in grado di attrarre investimenti.
Differenze in base alla grandezza dell’impresa si evidenziano anche nelle difficoltà di reperimento di personale con le competenze tecniche richieste. Se infatti questo è un problema solo per il 17% delle imprese che contano tra 3 e 9 addetti lo diventa per il 48% delle imprese con almeno 500 addetti. Differenze che si manifestano anche nelle attività di formazione. Se infatti solamente il 22,4% delle imprese con almeno 3 addetti ha svolto attività di formazione nel 2018, questo valore sale al 63,2% per quelle con almeno 50 addetti. Il problema dello skill mismatch, ovvero della differenza tra le competenze offerte dalla forza lavoro rispetto a quelle domandate dalle imprese, è particolarmente pronunciato in Italia, come evidenziato nel nostro libro “Ci pensiamo noi”, con effetti sull’occupazione e sulla produttività.
Cosa trarre da questo censimento? La dimensione dell’impresa sembra essere un aspetto cruciale, legato a occupazione, skill mismatch, formazione e investimenti. Un elemento difficile da cambiare nel breve periodo in Italia, in quanto richiede politiche lungimiranti che mal si conciliano con l’instabilità politica che ci caratterizza, ma centrale per rilanciare lo sviluppo delle imprese nostrane.