Articolo pubblicato su Il SOLE24ORE
Il governo ha messo in campo con il decreto di marzo una tutela di welfare mai vista prima. Tuttavia, rimangono ancora diverse falle in particolare l’esclusione dai beneficiari di alcune specifiche categorie di cittadini. Ha fatto molto discutere la situazione dei lavoratori in nero, mentre ha suscitato meno clamore l’esclusione di altri due gruppi: gli stagisti e i disoccupati.
Si tratta di situazioni differenti, che rischiano però di fare figli e figliastri. I tirocini (quelli extracurricolari su cui ci concentriamo) non sono un’esperienza di lavoro, ma un’attività formativa per cui viene corrisposta un’indennità di partecipazione minima di 300 euro, che può crescere di alcune centinaia, mentre non è previsto il versamento dei contributi e una tutela in caso di interruzione dello stage. Ed è giusto che sia così. Tuttavia tanta flessibilità pone dei problemi in una situazione eccezionale come quella attuale.
In queste settimane le Regioni (la competenza legislativa è in capo a loro) hanno adottato alcune misure a riguardo. Molte hanno sospeso gli stage per poi recuperare il periodo perso una volta riavviata l’attività aziendale, lasciando anche aperta la possibilità di portarli avanti grazie allo smart working, quando possibile. Tuttavia nei periodi di sospensione viene interrotta anche l’indennità di partecipazione, facendo perdere potere d’acquisto al tirocinante in un momento così difficile. Stesso esito per chi vede addirittura interrompersi definitivamente il proprio stage a causa dell’emergenza, perdendo la propria fonte di reddito e le prospettive lavorative future.
Nei casi peggiori, se l’interruzione fosse dovuta al contagio da Covid, non si potrebbe nemmeno godere del periodo di malattia. Per molti giovani ai primi passi della propria carriera (quasi la metà degli stage nel 2018 ha coinvolto individui con meno di 25 anni) il tirocinio rappresenta una vera e propria forma di lavoro precaria, a dispetto delle formalità. Può essere l’unica fonte di reddito e può esistere un rapporto importante costruito con l’impresa ospitante, con la speranza di prospettive più stabili.
Sappiamo che nel 2018 l’esperienza dell’attivazione di un tirocinio extracurricolare ha coinvolto 348mila persone. È per tutelare questi giovani che compiono i primi passi nel mercato del lavoro ed evitare che tornino a pesare sulle rispettive famiglie allontanandoli dall’indipendenza economica, che sarebbe opportuna una mossa semplice e poco costosa per le casse pubbliche. Includere i tirocinanti che si vedono sospesi o interrotti i propri stage nella platea che riceverà il reddito di emergenza (Rem). Il basso importo che si prevede (attorno ai 400 euro al mese) garantirebbe una continuità di potere d’acquisto e non richiederebbe un afflusso di denaro pubblico ingente. Nel caso in cui i tirocini attivi a febbraio fossero 348mila – è una stima per eccesso – sarebbe necessaria una spesa inferiore ai 150 milioni al mese.
Un’altra categoria di cittadini in condizioni di fragilità è quella dei disoccupati “in scadenza”. Parliamo di chi sta per vedere scadere la propria Naspi, o peggio ancora l’ha già terminata. Chi fa parte di questo gruppo ha regolarmente ottenuto il sussidio al momento dell’inizio della propria fase di disoccupazione e ora che l’assegno è terminato (o è in scadenza) si trova senza reddito e soprattutto senza la possibilità di rientrare nel mercato del lavoro.
Secondo le stime di Tortuga basate su dati Inps, la platea di coloro il cui assegno Naspi è scaduto tra febbraio e marzo 2019 – ultimi dati disponibili – è di circa 300mila lavoratori: un numero simile si è probabilmente trovato nella stessa condizione anche quest’anno. Per questi individui, il governo potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di prorogare di uno – se scaduto a marzo – oppure due mesi – se scaduto a febbraio – l’assegno in modo da sostenere il loro reddito almeno fino alla fine di aprile. Il costo di una simile misura stimiamo sia nell’ordine di grandezza di 300-400 milioni di euro. Se si ipotizzasse di prolungare l’estensione anche per il mese di maggio (includendo quindi anche i lavoratori la cui Naspi scadrà ad aprile) il costo raggiungerebbe i 700 milioni. Una misura di questo tipo potrebbe risultare più adatta rispetto all’inclusione nel Rem. Così non si richiederebbe al cittadino di effettuare una nuova procedura di richiesta, soggetta a tempi burocratici e incertezza (i problemi del sito dell’Inps siano di monito). Inoltre il Rem produrrà gruppi di inclusi e di esclusi in base ai criteri di accesso che verranno decisi dal governo, inevitabilmente creando nuove distinzioni necessarie ma pur sempre arbitrarie. Per i disoccupati rimasti senza assegno meglio aggirare il problema. Senza fare, ancora una volta, figli e figliastri.