Occhio: il governo ha stanziato 400 miliardi ma i fondi accantonati per la copertura sono pari a un solo miliardo
Articolo pubblicato su Il Foglio del 9 Giugno 2020
Le garanzie pubbliche decise dal governo sono uno strumento essenziale per contrastare la crisi di liquidità, ma potrebbero costarci molto. Le imprese infatti si trovano davanti a una contrazione della domanda e in un clima di fortissima incertezza, per la crisi scatenata dal coronavirus e dal conseguente lockdown. La riduzione delle vendite, a fronte di costi che sono stati comunque sopportati per affitti o fornitori per esempio, ha portato molte imprese in una crisi di liquidità. Per questo motivo il governo italiano, come anche hanno fatto altri paesi europei, ha previsto prestiti garantiti dallo Stato per le imprese in difficoltà. Il “decreto liquidità” ha stanziato 400 miliardi per non far fallire le imprese che verranno gestiti da Sace, una società di Cassa Depositi e Prestiti. Una cifra che può sembrare enorme se pensiamo che solo pochi mesi fa vi erano animosi dibattiti durante le leggi di bilancio su misure che valevano poche centinaia di milioni di euro (si veda la plastic tax, per esempio). Siamo diventati improvvisamente ricchi? La verità è che le garanzie pubbliche sono contabilizzate in maniera differente nel bilancio dello stato e non necessariamente finiscono all’interno del deficit, che in ultimo riassume gli andamenti di finanza pubblica. Le garanzie obbligano il Governo a stanziare solamente dei fondi a copertura di eventuali fallimenti sui prestiti alle imprese, ma in prima battuta alle casse dello Stato non costa neanche un euro. È evidente però che la storia non possa finire in questo modo, altrimenti sarebbe sempre conveniente per un paese utilizzare questo espediente per attuare politiche espansive, garantendo alle aziende facilità di accesso al credito, senza alcuna ripercussione sul bilancio pubblico.
Una garanzia pubblica non è altro che una promessa fatta dallo Stato nei confronti della banca che eroga il prestito a farsi carico del pagamento nel caso il debitore non sia più in grado di assolvere ai pagamenti. Nel caso del “decreto liquidità” i fondi accantonati a copertura sono pari a 1 miliardo di euro, come segnalato dal Servizio Bilancio del Senato. Una cifra che copre solo lo 0,25% degli oltre 400 miliardi totali! Normalmente, il Ministero dell’Economia cercherebbe di accantonare una cifra pari all’8% del totale delle garanzie erogate, pur mantenendo un criterio prudenziale. Perché un fondo così esiguo sia effettivamente sufficiente a coprire eventuali incapacità di ripagare i prestiti da parte del sistema produttivo, solo una impresa su 400 dovrebbe risultare insolvente. Una stima fin troppo ottimista, se pensiamo che nel 2012-13 i tassi di insolvenza sui prestiti delle imprese furono vicino al 10%, come riporta il Capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia. Eppure, il 2020 si appresta a far registrare la più ampia frenata dell’economia dal dopoguerra e la platea dei beneficiari delle nuove garanzie pubbliche è potenzialmente ben più ampia rispetto a quanto vissuto durante l’ultima crisi. Se consideriamo anche che molte delle verifiche di solidità finanziaria delle imprese richiedenti sono state sospese dalle banche allo scopo di velocizzare l’accesso al credito in un momento in cui poche settimane possono fare la differenza tra rimanere operativi e chiudere l’attività, gli elementi lascerebbero presagire tassi di insolvenza ancora più elevati. Assumendo comunque un tasso di insolvenza pari al 10%, le risorse necessarie a onorare la garanzia statale concessa sui prestiti determinerebbe un fabbisogno di 40 miliardi di euro nei prossimi 6 anni, che è il limite massimo della durata delle garanzie. Si tratterebbe di un ulteriore e cospicuo aggravamento del deficit del paese.
A oggi, queste risorse non sono previste dal bilancio pubblico perché il governo ha deciso di sfruttare al massimo la discrezionalità concessa dalle regole europee in materia di contabilizzazione delle garanzie. La normativa che stabilisce le regole di gestione dei conti pubblici in Europa (SEC-2010) prevede due possibili tipi di garanzie: standard e one-off. Le garanzie standard sono definite come garanzie rilasciate in gran numero e per le quali è di conseguenza possibile calcolare una stima del tasso di insolvenza. Le garanzie one-off hanno invece caratteristiche peculiari per le quali diventa impossibile poter effettuare una previsione ragionevole. Per questo stesso motivo, le prime prevedono che l’amministrazione pubblica stanzi subito in deficit l’ammontare di risorse necessarie per coprire i mancati pagamenti dei crediti. Per quanto riguarda le seconde, invece, la natura peculiare di ogni garanzia renderebbe impossibile lo stanziamento di risorse a copertura del prestito. Per questo motivo è consentito non considerarle come un costo fino all’eventuale effettiva insolvenza e conseguente uscita di denaro pubblico per onorare la garanzia prestata.
Il governo ha deciso di considerare tutte queste garanzie fino a 400 miliardi di massimale come one-off, non prevedendo alcun costo in termini di eventuale maggior deficit né per quest’anno, né per i prossimi. In parte ciò è giustificabile. Le garanzie per importi molto elevati – quelle nei confronti di aziende con fatturato superiore a 1,5 miliardi – richiedono l’approvazione di un decreto del Ministero dell’Economia e prevedono la possibilità di applicare condizioni differenziate. Ciò è dovuto proprio all’entità e spesso alla complessità della garanzia e pertanto ricadrebbero facilmente nella definizione di garanzie one-off. Per le garanzie di importo minore la classificazione tra standard e one-off non è ancora chiara e bisognerà capire quale interpretazione verrà fornita da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea. Ciononostante, sembra evidente che le scelte del governo non abbiano seguito ragionevoli ipotesi prudenziali, richieste quando si maneggia il bilancio pubblico. Servirebbe invece trasparenza: il “decreto liquidità” – tassello fondamentale nel contrastare l’emergenza – inciderà su un bilancio pubblico già in sofferenza, il debito pubblico è previsto eccedere quota 150% del Pil quest’anno. Scelte più oculate avrebbero consentito una migliore programmazione e trasparenza per gli anni futuri, ma in tempi di emergenza molta flessibilità è spesso concessa. Speriamo di non dovercene pentire in futuro.
Articolo scritto da Andrea Gorga per Tortuga
Classe 1993 di Caserta. Laureato all’università di Trento e poi alla LSE, oggi lavora nell’ufficio studi di SACE (gruppo CDP). Precedentemente all’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani. Per il think tank Tortuga – tramite il quale pubblica questo contributo – si occupa di macroeconomia e finanza pubblica.