Articolo pubblicato per Business Insider Italia

Uniformandosi alla spinta dell’Ue, L’Italia ha recentemente presentato le Linee Guida per la Strategia Nazionale sull’idrogeno 2021, elaborate del Ministero dello Sviluppo economico (Mise) in cui si delineano le potenzialità economiche e ambientali legate all’utilizzo dell’idrogeno come fonte energetica.

Uno degli obiettivi del Green Deal Europeo è infatti quello di adottare una strategia di integrazione del sistema energetico dell’Unione tramite tre principali azioni:

  • Sviluppare un sistema energetico più circolare ed efficiente;
  • Convertire quanti più settori possibili all’elettricità (es. trasporti, riscaldamento);
  • Promuovere l’uso di combustibili non fossili nei settori difficili da elettrificare.

È proprio in merito a quest’ultimo punto che l’idrogeno è chiamato a svolgere un ruolo importante.

La strategia per l’idrogeno

L’idrogeno è considerato un combustibile “pulito” perché, al contrario dei combustibili fossili, la sua combustione produce un solo tipo di scarto: l’acqua. L’idrogeno è anche molto versatile: può essere usato per immagazzinare e trasportare energia. Grazie a queste sue proprietà, la International Renewable Energy Agency (Irena) nel 2018 ha descritto l’idrogeno come “l’anello mancante della catena” per una transizione energetica efficace.

L’Ue ha sposato un approccio graduale all’adozione dell’idrogeno che passa attraverso 3 fasi tra il 2020 e il 2050e ha annunciato obiettivi chiari sulla produzione di idrogeno rinnovabile. Tra il 2030 e il 2050 si punta a  creare 10 milioni di tonnellate di idrogeno pulito in Europa.

Ma come si produce l’idrogeno e cosa è l’idrogeno “pulito”?

Perché l’idrogeno

A oggi esistono 2 modi principali di produrre idrogeno: processi termici ed elettrolisi.

  • Nel primo caso, si utilizza un procedimento ad altissime temperature chiamato “steam reforming”, dove il vapore (i.e. “steam”) reagisce con idrocarburi per produrre idrogeno. Con questa tecnica, che a oggi è la più diffusa, è possibile produrre idrogeno partendo da carbone (cosiddetto “idrogeno nero”), gas naturale (“idrogeno grigio”), o diesel. Una procedura che però, se lasciata a se stessa, non è sostenibile, poiché parte da materie prime inquinanti.
  • Nel processo di elettrolisi, invece, l’idrogeno viene prodotto a partire dall’acqua tramite l’energia elettrica. Anche in questo caso, l’unico scarto prodotto è innocuo, poiché si tratta di ossigeno. L’elettrolisi è generalmente vista con grande favore perché non vi è emissione di gas serra e l’energia necessaria per completare il processo può provenire da fonti rinnovabili (“idrogeno verde”).

Perché non è ancora stato fatto

Se la produzione di idrogeno a 0 emissioni (H2 blu, verde e viola) è davvero l’”anello mancante della catena” della transizione energetica, perché non è più diffuso? Perché ad oggi il 95% dell’idrogeno viene ancora prodotto a partire dal gas naturale?

Tre sono i principali problemi che hanno ostacolato la produzione di idrogeno da elettrolisi:

  1. La produzione di idrogeno a 0 emissioni è ancora molto più costosa di quella da “steam reforming” visto il maggior costo delle fonti energetiche utilizzate e l’elevato costo degli elettrolizzatori
  2. Uno sviluppo lento di un’infrastruttura atta a promuovere la domanda di idrogeno “pulito” in settori come i trasporti. Pensiamo all’assenza di una rete capillare di stazioni di rifornimento, o ai limiti tecnici di trasporto nei gasdotti ad oggi esistenti
  3. La mancanza di linee politiche e regolatorie chiare atte a promuovere investimenti mirati

Il piano dell’Italia

La strategia per l’Idrogeno nazionale individua due date chiave: 2030 e 2050, come nel piano europeo. Al 2030 si punta a soddisfare circa il 2% della domanda energetica nazionale tramite idrogeno, producendo fino a 5 GW tramite l’elettrolisi, per arrivare a un potenziale 20% al 2050. Ciò permetterebbe di evitare fino a 8 Mton di emissioni CO2eq. Per stimolare la crescita del settore, il piano italiano prevede fino a 10mld di investimenti dedicati e fino a 200 mila nuovi posti di lavoro nell’indotto, con un contributo al Pil di 27 miliardi.

Al di là dei numeri e degli obiettivi che in finestre temporali così estese possono rivelarsi imprecisi, è interessante guardare all’approccio utilizzato, e, soprattutto, alle priorità delineate dal Mise per i settori di intervento. In questo senso, nel prossimo decennio ci si focalizzerà principalmente sul settore dei trasporti (soprattutto pesanti e ferrovie) e sull’industria chimica e petrolifera.

Trasporti pesanti, ferrovie e industria

La prima area di intervento riguarda il trasporto pesante, un settore che in Europa produce  circa un quarto delle emissioni di Co2 derivanti dai trasporti e il 6% delle emissioni totali dell’Ue.

Proprio per questo l’Ue si è mossa con il Regolamento 1242/2019 imponendo obiettivi di riduzione delle sue emissioni del 15 e 30%, sui nuovi veicoli venduti. Per rispettare queste condizioni, i produttori stanno esplorando nuove strade, come l’idrogeno o l’elettrico, per abbandonare i motori endotermici. Il vantaggio dell’idrogeno risiede nel minor tempo di rifornimento necessario, ma vi sono grossi svantaggi infrastrutturali, come le pochissime stazioni di rifornimento. Per risolvere questa problematica, il Mise propone di focalizzarsi sulla creazione di stazioni di rifornimento in luoghi strategici, come interporti e principali tratte del trasporto pesante, come la A22.

La seconda area di intervento riguarda i treni. A oggi ancora circa 1/3 dei treni italiani funziona a diesel e gli investimenti in elettrificazione delle tratte non sono capillari. L’idrogeno potrebbe quindi aiutare in quelle tratte non elettrificate e nelle regioni con flotte di treni a diesel, come Sardegna, Sicilia e Piemonte. Gli investimenti per stazioni di rifornimento localizzate negli snodi interportuali sopracitati potrebbero essere sfruttati anche dal settore ferroviario.

La terza area riguarda invece i settori con alte emissioni di CO2, come il petrolchimico. Qui l’intervento avverrebbe soprattutto sulla produzione di idrogeno. Come detto in precedenza, la maggior parte della produzione odierna si basa sul gas naturale, emettendo però dai 7 ai 9kg di CO2 per kg di idrogeno prodotto. L’aggiunta di sistemi di cattura e stoccaggio del carbonio in impianti pre-esistenti o la costruzione di impianti capaci di sfruttare nuove tecnologie con minori emissioni vengono indicati quali esempi favoriti.

Occorre aggregare

Visti gli ingenti investimenti necessari, almeno in una fase iniziale, il Mise ritiene opportuno concentrare la domanda di idrogeno in aree specifiche, le cosiddette “hydrogen valley”. Si mira a favorire la creazione di sinergie tra i vari interventi, come nel caso delle stazioni di rifornimento per mezzi pesanti e ferrovie. La localizzazione di queste aree dovrà quindi essere accuratamente scelta in base a fattori come:

  • la mancanza di alternative rinnovabili,
  • la presenza di forte domanda di idrogeno (come nel caso di impianti petrolchimici),
  • o la possibilità di riconvertire sistemi di distribuzione, come quello del gas.

La domanda d’idrogeno delle valley potrà poi essere soddisfatta tramite la produzione di idrogeno in loco, o trasportandolo via gasdotti o mezzi pesanti. Mentre la prima opzione garantirebbe l’assenza dei costi di trasporto, essa si potrebbe scontrare con alcuni limiti tecnici di produzione. Una produzione centralizzata (ad esempio nel Sud Italia) con trasporto in loco, invece, permetterebbe di risparmiare sui costi di produzione e di realizzare impianti con elettrolizzatori più performanti.

Un’opportunità interessante, se ben sfruttata

L’idrogeno è per l’Italia un’opportunità interessante. L’elettrolisi è conveniente quando si ha a disposizione energia elettrica rinnovabile a basso costo (come il solare) e in maniera più continuativa possibile, un fattore a favore dell’Italia. Ma occorrerà investire con obiettivi altamente mirati.

L’idrogeno non può essere considerato una soluzione ad ampio spettro.

L’Italia ha deciso di concentrare i propri sforzi principalmente su due soli settori: il trasporto (pesante e ferrovie) e l’industria petrolchimica. In questo senso il piano del Mise per la selezione di interventi e di aree mirate sembra essere sulla strada giusta. Solo obiettivi strategici chiari e mirati possono essere in grado di arginare le tre problematiche principali legate alla produzione di idrogeno a 0 emissioni. Un approccio eccessivamente ampio in un’industria ancora in fase di sviluppo inziale, infatti, rischierebbe di diluire gli investimenti su più fronti senza raggiungere gli obiettivi chiave preposti. Dopo una prima fase di consultazione, il Mise provvederà a integrare le osservazioni in un documento più esteso e dettagliato che verrà pubblicato nel prossimo anno. Crediamo che al di là delle stime, occorrerà mantenere un approccio focalizzato e lungimirante per poter muovere i primi passi nella giusta direzione. Le premesse sembrano buone.

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