È l’ultimo giorno di questo 2020 senza precedenti. Un anno caratterizzato dalla pandemia di Covid-19, dalle elezioni americane, dalla Brexit. Un anno complesso, che abbiamo tentato di spiegare tramite i nostri articoli, partendo dai dati e con uno sguardo obiettivo.
La pandemia di Covid-19 è stata inevitabilmente al centro della nostra analisi politica ed economica. L’effetto della crisi pandemica si è riversato sull’industria e sul mercato del lavoro. Ha rivelato le condizioni della nostra ricerca clinica e delle nostre scuole, ma ha anche offerto opportunità di ricrescita e cambiamento: tutti aspetti delle analisi che vi proponiamo di seguito.
Per capire cosa sia stato il 2020 di Tortuga abbiamo analizzato, questa volta, proprio i nostri articoli.
Abbiamo scritto più di 90 articoli nel 2020 per 12 testate differenti. I temi non hanno potuto che riflettere gli accadimenti dell’anno: l’impatto del Covid-19, il nuovo NextGenerationEU dell’Unione Europea, non dimenticando temi chiave per il nostro think tank come i giovani, il mercato del lavoro, la finanza pubblica, disuguaglianze e povertà.
Un’attenzione riflessa anche guardando alle parole che più abbiamo utilizzato tra tutti i nostri articoli: Italia, lavoratori, dati, reddito, paese, tra le tante.
Una complessità che emerge anche dalle connessioni tra tutti i nostri articoli. Se guardiamo alle connessioni tra le keywords (ne abbiamo assegnate 5 a ogni articolo) che descrivono i nostri articoli comprendiamo come tutte queste tematiche, dal mercato del lavoro alla finanza pubblica, dalle disuguaglianze alle povertà, siano profondamente interconnesse.
Inauguriamo il nuovo anno ripercorrendo allora questo turbolento 2020 scegliendo dieci nostri articoli scritti negli scorsi mesi. Speriamo che possano essere una lettura interessante e stimolante durante queste giornate festive.
Vi auguriamo una buona lettura e un buon 2021!
1) Inizia il 2020: parliamo di produttività
Prima che scoppiasse la pandemia, il 2 gennaio 2020, abbiamo esaminato la stagnazione della produttività italiana che perdura ormai da decenni.
La produttività è il motore dell’economia: essere più produttivi significa saper raggiungere un maggior output dato un certo input o, equivalentemente, utilizzare meno input per ottenere lo stesso output. Ciò spiega il perché sia spesso in cima alle priorità dei dossier dei ministri dello sviluppo e il perché se ne parli spesso nei media. Il caso italiano fa scuola, purtroppo in senso negativo, con una condizione stagnante dalla metà degli anni ’90. Nell’analisi ci soffermiamo su un fattore cruciale, eppure spesso dimenticato: la qualità del management.
Una riflessione che oggi è ancor più rilevante per capire come tornare a crescere. Nell’articolo la soluzione è chiara e si basa su due parole chiave: meritocrazia e formazione.
2) Isolamento del Coronavirus: la ricerca clinica in Italia
A seguito dell’isolamento del Coronavirus da parte di tre ricercatrici dello Spallanzani di Roma a inizio febbraio, abbiamo analizzato lo stato della ricerca clinica in Italia che, seppure un giusto oggetto di vanto quando ottiene risultati così eccellenti, rimane fortemente trascurata in termini di finanziamenti.
Secondo l’ultimo rapporto Anvur 2018, l’ammontare destinato alla ricerca in Italia nel 2018 era pari all’1,32% del Pil, al di sotto della media dei paesi Ocse e dei paesi europei, rispettivamente al 2,36% e al 1,95%. Di queste risorse l’Italia riserva circa il 20% alla ricerca medica. Nel 2018 i fondi complessivi destinati alla ricerca ammontavano a circa 2,3 miliardi di euro, circa 406 euro per abitante, contro la media europea di 656 euro. Nel 2020 è previsto un discreto aumento, tuttavia permane un sistema di assegnazione delle risorse incostante e “a pioggia”, in cui solo una piccola parte dei finanziamenti viene assegnata per merito.
Ma non sono solo i numeri a far discutere. La struttura di erogazione di risorse, specialmente per la ricerca clinica, è frammentata e poco efficiente. Occorre “spendere di più e meglio, e rendere più semplici ed efficienti gli strumenti.”
3) Prima ondata e lockdown: chi viene lasciato indietro dal decreto Cura Italia
Con il blocco del sistema economico a seguito della prima ondata di contagi, abbiamo iniziato a esaminare l’impatto dell’emergenza sanitaria e delle relative misure adottate dal governo. Questa analisi ci ha accompagnato per tutto l’anno. Abbiamo fatto luce sulle categorie più colpite e quelle dimenticate, abbiamo sottolineato quali disuguaglianze si andavano a esacerbare e abbiamo ragionato sui possibili rimedi. A inizio aprile, per esempio, abbiamo parlato della condizione dei lavoratori in nero e della necessità di raggiungerli con misure di sostegno.
L’Istat stima che nel 2017 ci fosse in Italia una quantità di lavoratori in nero di 3,7 milioni di lavoratori a tempo pieno, pari a circa il 15% del totale. Concentrati principalmente nei settori dei servizi alla persona, dell’agricoltura e delle costruzioni, il loro lavoro pesa nel complesso il 4,5% del Pil nazionale. Una componente non proprio trascurabile, le cui condizioni economiche e sociali li pongono in una situazione di grande difficoltà e fragilità, difficilmente capaci di sostenersi in una fase di blocco del sistema economico.
Un mancato supporto a questa categoria di lavoratori avrebbe risvolti non solo economici, ma anche sociali e politici, in termini di maggiore sfiducia e maggiore instabilità sociale.
4) Preparandosi alla Fase 2: i Sistemi Locali del Lavoro
In primavera abbiamo elaborato un criterio per la riapertura o chiusura delle zone colpite dalla pandemia basato sulle unità territoriali dei Sistemi Locali del Lavoro (SLL).
Si tratta di aree piccole, più facilmente monitorabili e gestibili, che aggregano comuni in base alla mobilità dei lavoratori. I dati mostrano come l’incidenza dei contagi vari anche all’interno delle regioni, il che sembrerebbe confermare l’efficacia di un’unità territoriale più piccola. Permettendo solo spostamenti all’interno dei SLL, sarebbe più facile individuare e isolare le aree con maggiore probabilità di contagio, e limitare il rischio di ricadute diffuse su interi territori regionali. Laddove dovesse insorgere un nuovo focolaio, la disponibilità di un criterio di suddivisione offre tempi di risposta più rapidi.
Come è noto, con la seconda ondata il criterio di differenziazione territoriale è stato effettivamente adottato, ma su scala regionale. Nulla vieta di pensare a come migliorare il sistema attuale per i prossimi mesi.
5) Arriva l’estate: pensiamo alle scuole
A maggio, 191 stati comprendenti il 91% di tutti gli studenti al mondo, avevano chiuso le proprie scuole per contenere la diffusione del Covid-19. La didattica a distanza (Dad) non è riuscita a sostituire appieno la didattica in presenza: basti pensare che secondo il Miur, il 20% degli studenti è stato “perso” nel passaggio alla Dad.
Tra le proposte per garantire supporto nei mesi estivi ai genitori lavoratori e recuperare almeno parte del tempo perso con le scuole chiuse, ci siamo chiesti dove poter organizzare le attività estive e con quale personale. Abbiamo suggerito che il Governo si attivi per rendere disponibili le 41mila strutture scolastiche presenti sul territorio e al momento inutilizzate. Inoltre abbiamo sottolineato l’urgenza di far rientrare gli alunni delle scuole dell’infanzia, elementari e della terza media, insieme a studenti svantaggiati o con bisogni educativi speciali. Queste rimango ad oggi idee rilevanti per l’estate 2021.
6) Aiuti dall’Europa: arriva il Recovery Plan, non facciamoci trovare impreparati
Il 21 luglio, il Consiglio Europeo ha elaborato una risposta fiscale unita e significativa. Un’efficace allocazione delle risorse del Next Generation EU, che verranno erogate nei prossimi anni, sarà fondamentale per far ripartire il sistema economico e tornare a crescere. Ci siamo interrogati a più riprese su quali interventi fossero prioritari e abbiamo elaborato una serie di proposte per agire sui problemi strutturali dell’Italia. Qui ci siamo occupati di giustizia civile.
Un sistema giudiziario incerto porta a un danno economico: la Banca d’Italia stima che se la durata media dei processi in Italia fosse scesa ai livelli tedeschi si sarebbe assistito a un aumento del Pil di un punto percentuale. Una giustizia civile lenta e inefficiente rappresenta un deterrente per gli investitori, in quanto impone un costo aggiuntivo ex ante e quindi rendimenti maggiori.
I problemi della giustizia civile italiana sono principalmente due, profondamente interconnessi: la durata dei processi (in media sono necessari 8 anni per un processo civile che arriva al terzo grado) e il numero di casi pendenti (4 per ogni 100.000 abitanti contra una media Ue di 1,24). Ridurre la domanda, ridurre i tempi, e aumentare la digitalizzazione sono le strade per cambiare davvero la giustizia italiana.
7) Aiuti dall’Europa: qualche idea in più
Un altro capitolo di primaria importanza sul quale si dovrebbero investire le risorse di Next Generation EU è quello delle infrastrutture. Le carenze infrastrutturali di cui l’Italia soffre, tra cui reti insufficienti alla domanda di mobilità degli italiani, zero manutenzione, e pedaggi tra i più cari in Europa, rappresentano un significativo ostacolo sulla capacità di sviluppo e crescita di alcune aree.
Ma il rilancio dell’economia italiana non può prescindere da un adeguamento delle infrastrutture di trasporto stradale e ferroviario. Da un lato, l’intervento sulle infrastrutture stradali è fondamentale in un paese come il nostro in cui oltre l’80% delle merci movimentate su terra (nell’Ue è il 73%) e oltre l’80% dei passeggeri (in linea con l’Ue) viaggia su gomma. Dall’altro, potenziare la rete ferroviaria risponde alla necessità, sempre più urgente, di ridurre l’impatto ambientale, considerando che l’emissione di CO2 per tonnellata-chilometro o per passeggero del trasporto su ferro è significativamente inferiore sia di quello su strada che, soprattutto, di quello aereo.
Ancora una volta, l’intervento necessario non è un semplice aumento degli investimenti, ma anche una più efficace pianificazione, perché le risorse messe a disposizione siano (ben) spese.
8) Settembre e il ritorno alle urne
In Italia si è sempre evitato di far sovrapporre referendum costituzionali ed elezioni amministrative, ritenendo che tale coincidenza potesse in qualche modo alterare la partecipazione e le decisioni degli elettori in un campo così delicato come quello dei cambiamenti della Costituzione. Ma l’emergenza Covid-19 ha avuto un impatto anche sulle tradizioni elettorali e tale sovrapposizione c’è stata a settembre 2020 con molti italiani che si sono recati alle urne per votare non solo sul referendum costituzionale ma anche su elezioni regionali, comunali e suppletive.
Ci siamo quindi chiesti quale sia stato l’effetto di questa sovrapposizione su affluenza e risultato del referendum, confrontando l’affluenza e la percentuale di sì nei comuni dove si sono svolte entrambe le consultazioni con gli stessi risultati in quelli dove invece le comunali non ci sono state.
Abbiamo concluso che da un lato, nei comuni dove si sono tenute entrambe le consultazioni l’affluenza è stata considerevolmente maggiore; dall’altro, nei comuni dove si sono tenute entrambe le consultazioni, il sì ha ottenuto un consenso inferiore, in media, di 1 punto percentuale.
9) Family Act e Next Generation EU: pensiamo all’occupazione femminile
In corrispondenza della discussione e approvazione del Family Act a novembre, ci siamo interrogati su come stimolare l’occupazione femminile, strutturalmente bassa in Italia e ulteriormente colpita dalla crisi pandemica. Le politiche per la famiglia non possono essere considerate sinonimo di politiche per l’occupazione femminile: investire in una maggiore partecipazione femminile alla forza lavoro passa sì necessariamente alle politiche per la maternità, ma non deve limitarsi a queste. Serve allargare l’attenzione dalle sole madri a tutte le donne.
La disparità tra generi in termini di tempo speso per attività domestiche è infatti presente anche nelle attività non legate alla cura dei figli. Quasi la totalità delle donne italiane (95,5%), contro solo il 70% circa degli uomini, è impegnata nelle attività cosiddette “produttive ma non pagate”, come pulizia, cucina, bucato, cura di famigliari (figli o anziani).
Le risorse di NextGen EU sono un’occasione da non sprecare per ridurre il carico di lavoro non retribuito che ostacola la partecipazione femminile alla forza lavoro e incentivare una cultura di equa distribuzione dei carichi di lavoro domestico, anche tramite una maggiore adozione di schemi di lavoro flessibile per entrambi i generi.
10) Seconda ondata: attenzione al mercato del lavoro
Si è discusso molto del compromesso tra sicurezza sanitaria e attività economiche, soprattutto con l’arrivo della seconda ondata di contagi e di una nuova serie di chiusure in autunno. In una serie di articoli abbiamo analizzato l’impatto della prima ondata e del lockdown sul mercato del lavoro italiano, individuando le categorie più colpite: giovani, donne e stranieri. Abbiamo mostrato come lo shock abbia colpito differentemente le regioni italiane, e abbiamo esaminato le misure previste dalla nuova legge di bilancio per risollevare la situazione del mercato del lavoro.
In questo pezzo ci siamo focalizzati sul costo per stranieri, donne e inattivi. Se sull’intera popolazione la laurea ha attenuato l’impatto della crisi, la situazione risulta molto diversa studiando la nazionalità di chi ha perso il lavoro. Inoltre, secondo le ultime rilevazioni ISTAT, la diminuzione di occupati in Italia rispetto al primo trimestre del 2019 è stata molto più marcata per le donne che per gli uomini.
Abbiamo infine notato come molti di coloro che hanno perso il lavoro nelle prime fasi della crisi non si siano dedicati alla ricerca di un nuovo impiego, aumentando quindi il tasso di inattività invece di quello di disoccupazione. Un elemento che potrebbe rendere ancora più lenta e difficile la ripresa economica.
10+1) (L’anno e) il vaccino che verrà
Cosa ci porterà il 2021? In primavera, il New York Times non avrebbe scommesso su un vaccino efficace contro il Covid-19, la cui distribuzione aveva previsto solo per il 2033.
Lo sviluppo di un vaccino è infatti un processo complesso che richiede un lungo lavoro di indagine dei meccanismi biologici del microrganismo, per comprenderne il funzionamento, e le sue modalità di interazione con l’uomo. Normalmente si protrae per 10-15 anni. Questo percorso richiede un ingente investimento di risorse umane ed economiche, di natura sia pubblica che privata, non solo per l’elevata complessità dell’operazione stessa, ma anche per garantire il rigore scientifico e la sicurezza.
Invece, le prime vaccinazioni sono cominciate il 27 dicembre, e l’anno nuovo sarà scandito dai milioni di vaccini che verranno somministrati. Come è stato possibile accelerare il processo? E quali sono le implicazioni sull’efficacia e la sicurezza del vaccino?
Chiudiamo questa selezione con un articolo extra, che ci permette di guardare all’anno appena iniziato – dati alla mano – con speranza. Buon anno da Tortuga!