Articolo pubblicato per Il Quotidiano della Scuola
Una lamentela comune tra i professori è che ogni nuovo ministro vuole fare la propria riforma della scuola. Ci sono cascati i vari Berlinguer, Moratti, Gelmini e Giannini. In particolare cambiare l’esame di maturità sembra essere un chiodo fisso. Il decreto legislativo adottato nella scorsa legislatura, n. 62/2017, ha introdotto diversi cambiamenti all’esame, che nelle settimane scorse sono stati applicati dal ministro Bussetti.
Una delle modifiche principali è l’introduzione per i classici e gli scientifici di una doppia materia nella seconda prova, che dovrebbe consentire una valutazione più approfondita. Al classico, i maturandi dovranno comunque tradurre una versione in latino o greco, ma questa sarà accompagnata da alcune domande su un secondo testo nell’altra lingua. Per lo scientifico, il candidato dovrà invece lavorare sia su matematica che fisica. Altre modifiche sono l’eliminazione della terza prova e la riforma del colloquio. Per quest’ultimo, il punto di partenza non sarà più il lavoro originale di ciascuno studente (la tesina), bensì una serie di materiali — testi, documenti, esperienze, progetti e problemi — preparati dalle commissioni ed estratti a sorte dallo studente il giorno dell’esame. Viene inoltre cambiata la struttura della valutazione, con l’introduzione di griglie nazionali di valutazione per correggere gli scritti e la nuova modalità di calcolo del punteggio (vedi tabella 1).
L’obiettivo principale appare uniformare gli esiti, così da garantire maggiore equità sul territorio e tra istituto e istituto. In questo modo l’esame di maturità potrebbe diventare ciò che non è mai stato: uno strumento di confronto del livello di apprendimento a livello individuale e aggregato, utile sia per le decisioni di politiche educative, sia come metro di valutazione per l’accesso all’università e concorsi.
Infatti, la differenza nei voti tra Nord e Sud è spiccata (come dimostra l’infografica di InfoData): vi è una distribuzione regionale differente tra 100 e lode alla maturità e risultati Invalsi ottimi, o tra quanti dopo il 100 alla maturità conseguono il massimo alla laurea (48% al Sud, contro il 54% al Nord). La direzione della riforma verso una maggiore uniformità nella valutazione potrebbe essere quindi positiva, soprattutto se si volesse estendere l’esito dell’esame come criterio strutturale di selezione per l’accesso all’università, come già accade in altri paesi europei.
Un esame più uniforme?
La scelta più importante è a nostro avviso quella di eliminare la terza prova. Il “quizzone” era una prova multidisciplinare (quattro o cinque materie) decise dalla commissione d’esame sulla base del programma didattico dell’ultimo anno. La sua abolizione era già stata annunciata nel 2018, proprio per la discrezionalità con cui ciascun istituto poteva deciderne struttura e contenuti. Una prova mai stata particolarmente popolare tra gli studenti per la sua natura “imprevedibile”, dovuta alla moltitudine di materie da preparare. In teoria queste materie sarebbero dovute rimanere segrete fino alla prova, ma sono stati registrati numerosi casi in cui i professori hanno non solo anticipato le materie (circa il 40%), ma anche aiutato gli studenti in sede d’esame. Eliminarla appare quindi positivo per garantire uniformità. Inoltre, testando solo i contenuti dell’ultimo anno, la prova verificava conoscenze già valutate in classe.
D’altra parte in questo modo non si valuteranno in modo sistematico altri aspetti della preparazione degli studenti, in particolare l’inglese che era obbligatorio in terza prova. Sarà verificato nel corso dell’esame orale, ma probabilmente meno rigorosamente che in una prova scritta.
Per questi motivi, sarebbe stato probabilmente più vantaggioso sostituire la terza prova con una verifica uniforme a livello nazionale, come ad esempio in passato era stato proposto il test Invalsi. Questa prova è standardizzata su tutto il territorio e verifica le conoscenze specifiche degli studenti in italiano, matematica e inglese, con domande a risposta multipla, domande aperte, e esercizi. Aggiungere l’Invalsi all’esame permetterebbe di valutare le competenze chiave comuni a tutti i percorsi di studio, uniformando il sistema e provvedendo importanti dati statistici sulla qualità del nostro sistema educativo. I critici dell’Invalsi sottolineano il suo approccio nozionistico, che valuta in particolare la risposta mnemonica e trascura la capacità di elaborare ragionamenti critici. Tuttavia, unita alla prima e seconda prova che testeranno altre competenze, questa possibile debolezza del test verrebbe compensata, mentre si guadagnerebbe in standardizzazione e – per quanto possibile – oggettività della valutazione.
Per quanto riguarda la valutazione, viene introdotta un’altra importante novità, ovvero le griglie nazionali di valutazione che saranno la base di correzione delle prove scritte. Queste dovrebbero offrire una maggiore standardizzazione nella valutazione e una conseguente riduzione della soggettività dei professori. In questa direzione va anche la nuova modalità di colloquio: l’estrazione degli argomenti aiuta la standardizzazione, favorendo una maggiore equità tra studenti soggetti alla stessa commissione esaminatrice. Rimane tuttavia poco chiaro quanta discrezione avrà la commissione nella scelta dei documenti, con il rischio di una sostanziale differenza tra aree geografiche e istituti nella loro selezione.
Compare inoltre nella riforma l’abolizione della tesina. Questa costituiva un progetto originale di ricerca, attraverso la quale ogni studente poteva affrontare temi particolarmente cari legandoli alle materie studiate, in un percorso interdisciplinare. Costituiva una delle rare opportunità nella scuola italiana di ricerca autonoma, espressione creativa, e sviluppo del pensiero critico. Per quanto abolirla possa ridurre la soggettività della valutazione di un lavoro di questa natura, probabilmente questo beneficio non bilancia la perdita di uno dei pochissimi progetti autonomi disponibili agli studenti nel loro percorso di studi.
Infine, un’ultima misura che sarà implementata è la nuova modalità di calcolo del punteggio (vedi tabella 1). In particolare, i punti ottenibili grazie al curriculum (cioè le medie dei voti ottenuti nel triennio finale) sono stati aumentati da 25 a 40. Questo può da un lato essere positivo per l’oggettività della valutazione, valorizzando l’intera carriera scolastica e riducendo il rischio di votazioni finali dettate da situazioni particolari al momento dell’esame (ansia, eventi negativi in concomitanza con l’esame, ecc). Dall’altro lato, tuttavia, ciò potrebbe remare contro lo sforzo di uniformità, viste le notevoli differenze nell’assegnazione dei voti delle verifiche orali e scritte tra diversi istituti e diverse aree geografiche.
Tabella 1
Conclusione
Quale potrebbe essere dunque l’impatto sugli studenti? Un problema è rappresentato delle tempistiche. La riforma entrerà in vigore ad anno in corso e questo comporterà non poche difficoltà per insegnanti e maturandi, con solo pochi mesi a disposizione per aggiornarsi, come sostenuto anche da diverse organizzazioni sindacali. Per affrontare il problema, il ministro Bussetti ha assicurato che ci saranno simulazioni d’esame, così da preparare i maturandi ai cambiamenti. Il minimo indispensabile: le simulazioni sono da sempre previste.
In conclusione, questa riforma ha il pregio di cercare di uniformare maggiormente la valutazione in un sistema scolastico considerevolmente variegato. Questi sforzi tuttavia risultano fin troppo timidi, in particolare per la mancata opportunità di sostituire la terza prova con l’Invalsi, e con tempistiche decisamente affrettate.